Ex Ilva, derby asiatico per il nuovo corso: in campo Jindal Steel International e Baku
È partito il conto alla rovescia per la consegna delle offerte sull’ex Ilva. Il prossimo 10 gennaio scadranno i termini per la presentazione formale. Soltanto un minuto dopo la mezzanotte di quel giorno si saprà chi avrà formulato una proposta di acquisto per Acciaierie d’Italia. Intorno alla società commissariata si agitano consulenti, banchieri, analisti industriali, manager. A quanto risulta al Sole 24 Ore, si profilerebbe un derby asiatico. A muoversi con più decisione intorno al dossier sarebbero gli indiani di Jindal Steel International (JSI) e gli azeri di Baku Steel. Nessuno può escludere che, al rush finale, tornino a schiacciare il bottone dell’invio formale di una proposta per un all-in – la vendita complessiva di tutti gli impianti fra Taranto, Novi Ligure e Cornigliano, privilegiata in una prima istanza dal governo Meloni – i nordamericani di Stelco e gli ucraini di Metinvest. Ma, per ora, tutti i segnali deboli indicano in JSI e in Baku Steel i due contendenti più concretamente interessati.
Intanto, mentre si aspettano le offerte formali, i tre commissari – Giovanni Fiori, Giancarlo Quaranta, Davide Tabarelli – stanno operando per la stabilizzazione produttiva di due altiforni su tre, l’1 e il 4, per l’integrazione economica della cassa integrazione straordinaria ai dipendenti e per il ricorso allo smart working a dirigenti e impiegati, una novità che riguarderà 2.200 persone.
E ancora, sono in corso la ripresa dei rapporti con le istituzioni e le parti sociali, che la precedente gestione ArcelorMittal-Lucia Morselli aveva fortemente incrinato, e il pagamento, in parte e con una transazione, dei crediti che l’indotto aveva accumulato verso Acciaierie prima che finisse in amministrazione straordinaria.
Il quadro produttivo rimane molto precario: a fine novembre erano stati prodotti 1,7 milioni di tonnellate e il 2024 si chiuderà intorno alle 2 milioni di tonnellate, numeri lontani dalle potenzialità di Taranto. Nel nuovo anno bisognerà rimettere in funzione l’altoforno 2 e poi fermare di nuovo l’altoforno 1 per rifare il crogiolo, operazione che in seguito avverrà anche sul 2, in modo da arrivare nel primo trimestre 2026 a tre altiforni operativi: 1, 2 e 4 (il 3 e il 5 sono dismessi da tempo). Si è scelto di rifare il crogiolo ai due altiforni per metterli in sicurezza, migliorarne l’attività e guadagnare l’attesa dei due forni elettrici che dovrebbero essere in marcia nel 2027 con una capacità di 4 milioni di tonnellate. Quella dei forni elettrici sarà la “nuova” Ilva, l’acciaieria decarbonizzata indicata come priorità nel bando di gara. La società pubblica Dri d’Italia (Invitalia) lavora alle intese con Acciaierie d’Italia e il ministero dell’Ambiente per finalizzare il miliardo di euro avuto in dote per la costruzione nel siderurgico dell’impianto del preridotto di ferro. Sarà infatti questo, e non il rottame, ad alimentare i futuri forni elettrici di Acciaierie, consentendole così di mantenere la possibilità di rifornire aree di mercato come l’automotive.
Resta, per Acciaierie, il tallone d’Achille della scarsa finanza a disposizione. Con volumi produttivi modesti, modesti sono anche i ricavi e finora l’azienda si è sostenuta con i 300 milioni arrivati dal patrimonio destinato di Ilva in amministrazione straordinaria (soldi in origine destinati alle bonifiche) e i 320 del prestito ponte del Mef autorizzato dalla Commissione UE, diventati 420 grazie ad un’estensione di 100 milioni col decreto Milleproroghe.
Fonte: Il Sole 24 Ore