Ex Ilva, gli azeri di Baku Steel in vantaggio al fotofinish

Ex Ilva, gli azeri di Baku Steel in vantaggio al fotofinish

Alla curva probabilmente decisiva gli azeri di Baku Steel sembrerebbero avere staccato gli indiani di Jindal Steel International ed il fondo statunitense Bedrock Industries, gli altri due concorrenti in gara per rilevare la totalità del complesso aziendale dell’ex Ilva. Ieri, a mezzanotte, sono scaduti i termini per i rilanci dopo la presentazione delle offerte vincolanti e, sebbene non ci siano comunicazioni ufficiali del ministero delle Imprese e del made in Italy e dei commissari straordinari, al netto di sorprese dell’ultimo minuto secondo quanto ricostruito – mentre Il Sole 24 Ore andava in stampa – sarebbero confermate le indicazioni della vigilia.

Numero uno: i commissari propendono per la vendita in blocco e non per la cessione a pezzi (un mese fa erano state presentate sette proposte per singoli asset). Numero due: Baku Steel, supportata dal fondo statale Azerbaijan Investment Company, ha presentato l’offerta che nei prossimi giorni potrebbe essere ritenuta preferibile valutando nel complesso la combinazione di parte economica, progetto industriale, impegni su occupazione e decarbonizzazione. Ora si aprirà una fase di negoziazione esclusiva che – secondo l’ambizione del ministero – dovrebbe portare all’aggiudicazione nel giro di qualche settimana o comunque entro marzo. Il governo non esclude che gli azeri possano poi cedere, tramite una procedura competitiva tipo beauty contest, singoli asset ai gruppi italiani interessati (Marcegaglia ha già manifestato interesse, Arvedi potrebbe farlo).

Quanto all’offerta finale, parliamo di circa 500 milioni cui si somma un importo per il riconoscimento del magazzino di Acciaierie d’Italia da valorizzare sulla base delle quotazioni di mercato al momento dell’aggiudicazione (ma si possono stimare altri 400-500 milioni). L’impegno occupazionale, per il biennio vincolato dal bando di gara, è di circa 7.800-8mila unità rispetto alle 9.773 dell’organico totale in carico a fine gennaio. La decarbonizzazione viaggia attorno all’80% dei target e i rifornimenti di gas attraverso l’Azerbaijan, sarebbero al centro del progetto anche con il ricorso a una nave rigassificatrice. Jindal International si sarebbe posizionata notevolmente più in basso per la parte economica, tra 100 e 120 milioni (leggero ritocco rispetto agli 80 milioni dell’offerta iniziale) e avrebbe migliorato la componente occupazionale salendo a 7mila addetti nei primi due anni (ma con mille esodi incentivati in programma), restando comunque sotto i livelli degli azeri. Il piano Jindal sarebbe stato preferibile sul piano della decarbonizzazione anche per l’ampia disponibilità di preridotto per i forni elettrici ed è per questo che il governo potrebbe comunque insistere con gli indiani per portare a casa un investimento greenfield in questo settore. Sono sempre rimasti ai margini, invece, gli americani di Bedrock Industries che hanno giocato la partita soprattutto con un approccio da fondo di investimento.

Si può dire che il passaggio di ieri fissi un prima e un dopo. E apre la seconda fase, basata sulla negoziazione diretta. Jindal Steel International aveva un progetto industriale più compatto e coeso, ma pensava a un punto di caduta occupazionale inferiore rispetto a Baku Steel. Sotto il profilo ambientale, che è la ferita da cui tutto trae origine a Taranto, le tecnologie sono più avanzate. E, soprattutto, l’integrazione con la catena di approvvigionamento fra l’Africa e il Medio Oriente sarebbe stato in grado di “alimentare” tutto il ciclo produttivo della ex Ilva. I soldi sul piatto sono meno. E sono capitali privati.

Invece, nel caso di Baku Steel c’è una repubblica caucasica che, disponendo di molto gas e petrolio, decide di partecipare al grande gioco della nuova economia globale segnata dalla prevalenza degli Stati sulle imprese diversificando sull’acciaio e puntando su Taranto, sull’Italia e sull’Europa. Una impostazione differente, con una capacità di mantenere un perimetro occupazionale più ampio, una forza di investimento finanziaria maggiore, una “politicità” nella gestione dei rapporti e del consenso differente da quella che può esprimere un qualunque gruppo privato.

Fonte: Il Sole 24 Ore