Ex Ilva, il prezzo dell’energia impatta sulla gara per gli asset
Nessun ulteriore rinvio. Ma un super costo dell’energia che rischia di condizionare l’esito. La scadenza della mezzanotte di domani, 10 gennaio, per la presentazione delle offerte vincolanti per l’acquisto degli asset dell’ex Ilva, è confermata. Così come appaiono per ora confermate le indicazioni che iniziano a filtrare sui gruppi intenzionati a farsi ufficialmente avanti. In prima fila (si veda Il Sole 24 ore del 31 dicembre) ci sarebbero gli indiani di Jindal Steel International (JSI) e gli azeri di Baku Steel. Più defilato il fondo americano Bedrock Industries che potrebbe aggiungersi in extremis con la prospettiva di reinvestire la liquidità derivante dalla cessione della canadese Stelco.
Il fattore energia
Sulle aspettative della vigilia, però, pesa enormemente il fattore energia, elemento che dovrebbe portare a offerte piuttosto basse in questa prima fase cui seguirà poi quella dei possibili rilanci.
Il dato strutturale è molto oneroso: nel 2024, lo spread del costo dell’energia per chi opera nel nostro Paese è stato pari a 29 euro al Mwh in più rispetto alla Germania, a 50 euro in più rispetto alla Francia, a 33 euro in più rispetto alla Svizzera, a 50 euro in più rispetto alla Spagna. Questo spread energetico e industriale, che sta per esempio rendendo maledettamente complicato tutto il processo di salvataggio e di ristrutturazione dell’acciaieria di Terni ad opera del gruppo Arvedi, rischia di essere una bomba potenziale per un caso straordinariamente complesso come quello dell’ex Ilva. Oggi e domani. Oggi per la consistenza finanziaria delle offerte che i commissari si troveranno ad aprire e a valutare la mattina di sabato. Il rischio è che la passività potenziale finanziaria connessa al costo italiano dell’energia si rifletta da subito in offerte molto magre. Domani per la difficoltà di costruire un piano industriale credibile e sostenibile sul medio periodo. Tutti lo sanno. Per questa ragione, dai potenziali candidati sono giunte ai commissari – e quindi al ministero delle Imprese e del made in Italy – richieste di chiarimenti sugli incentivi in campo oggi e su quelli in programma nel prossimo futuro per la riduzione dei costi energetici.
Dati europei
I confronti europei mostrano appunto che per la siderurgia italiana la bolletta incide in misura nettamente maggiore rispetto ad altri grandi Paesi che tra l’altro in tema di aiuti di Stato per il settore, come nel caso della Germania, sono stati in questi ultimi anni decisamente più generosi o che in passato, come la Francia, hanno costruito una base di energia a basso costo con il nucleare. In particolare, gli indiani di Jindal Steel International avrebbero messo in evidenza questo fattore come elemento di forte rischio industriale. Il governo non può però formalmente impegnarsi su un pacchetto di agevolazioni, rendendo così la gara condizionata con la prospettiva di inficiarla. E non c’è soltanto un tema di correttezza della gara. Esiste anche, per quanto possa sembrare irragionevole in un caso tanto conclamato di patologia sistemica come quello dell’ex Ilva, un problema di coerenza con i precetti pro concorrenza dell’Unione europea. Approfondimenti sullo stesso tema sono stati richiesti tra l’altro anche dagli altri candidati rimasti in campo dopo che via via la rosa delle 15 manifestazioni di interesse si è ristretta. Un tema aperto, in particolare, sarebbe la possibilità di convertire in aiuti specifici per il caro-energia circa 1,5 miliardi di euro di vecchie agevolazioni, in primis contratti di sviluppo, che erano stati delineati per Acciaierie d’Italia nell’era ArcelorMittal-Invitalia.
Il preridotto
E, nell’ambito della data room, azeri e indiani hanno voluto anche ragguagli sull’uso del miliardo di euro per la decarbonizzazione, destinati allo stato attuale a Dri spa, partecipata al 100% dall’agenzia pubblica Invitalia, per la realizzazione di impianti di produzione del preridotto con cui alimentare in futuro la produzione da forni elettrici.
Fonte: Il Sole 24 Ore