Ex Ilva, la Corte d’Appello di Taranto annulla il processo «Ambiente svenduto» e trasferisce gli atti a Potenza

Processo per il disastro ambientale dell’Ilva sotto la gestione Riva, è tutto da rifare. Con una sentenza emessa il 13 settembre, la Corte d’Assise d’Appello di Taranto, presieduta da Antonio Del Coco, ha annullato la sentenza di primo grado, espressa dalla Corte d’Assise a maggio del 2021 dopo un lunghissimo processo, e trasferito gli atti alla Procura di Potenza. Quest’ultima è competente per ciò che riguarda gli atti dei magistrati di Taranto.

Il processo ora ripartirà nel capoluogo della Basilicata. La Corte d’Assise d’Appello depositerà nel giro di 15 giorni le motivazioni del provvedimento che ha azzerato il processo di primo grado che si concluse con 26 condanne, tra dirigenti della fabbrica, manager ed ex amministratori pubblici, per 270 anni complessivi di carcere. In quella sede, la Corte d’Assise dispose anche la confisca degli impianti dell’area a caldo – che sarebbe eventualmente scattata dopo la conferma in Corte di Cassazione – e la confisca per equivalente dell’illecito profitto nei confronti delle società Ilva spa, Riva fire e Riva forni elettrici per una somma di 2,1 miliardi. Al termine di quel processo furono condannati, rispettivamente a 22 anni e 20 anni di reclusione, Fabio e Nicola Riva, ex proprietari e amministratori dell’Ilva, che rispondevano di concorso in associazione per delinquere finalizzata al disastro ambientale, all’avvelenamento di sostanze alimentari, alla omissione dolosa di cautele sui luoghi di lavoro. E con altre imputazioni fu anche condannato l’ex presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola.

Lo spostamento, una richiesta fatta dalla difesa

Ma perché ora il processo va a Potenza? La difesa di alcuni imputati ha chiesto ai giudici dell’appello il trasferimento (vedendo poi accolta la loro tesi) in quanto vi è “una incompatibilità ambientale”. Secondo i legali, infatti, “il processo non può essere celebrato davanti ai magistrati tarantini perché non avrebbero la serenità necessaria a giudicare, in quanto anch’essi sarebbero persone offese e danneggiate del reato di inquinamento”. Quest’istanza, per la verità, fu già sollevata in Corte d’Assise ma venne respinta. Tant’è che la Corte (presidente Stefania D’Errico) é andata regolarmente avanti con le udienze, a fine maggio 2021 ha emesso la sentenza, e a novembre 2022 ha infine depositato le motivazioni in circa 3.700 pagine. L’appello è cominciato ad aprile e qui la difesa di alcuni imputati ha rinnovato la richiesta già fatta in primo grado, adducendo la stessa motivazione.

Nelle udienze che ci sono state sinora, i legali delle parti civili hanno insistito nel mantenere a Taranto il secondo grado e anche i pubblici ministeri Raffaele Graziano e Giovanna Cannarile, insieme con il procuratore generale Mario Barruffa, hanno evidenziato come una recente sentenza della Cassazione abbia espressamente chiarito che è da considerare parte di un processo chi sceglie di attivare un’azione di diritto, mentre nessuno dei magistrati di Taranto lo ha fatto. Quindi, secondo i pm, non essendo gli stessi magistrati parte del procedimento penale, non vi sono i presupposti perché il processo venga spostato. Ma di altro avviso è stata la Corte d’Assise d’Appello con l’ordinanza che ferma tutto e trasferisce il caso a Potenza. Molte le proteste sollevatesi dal fronte ambientalista (Peacelink, Veraleaks e Codacons), che temono adesso un colpo di spugna, il rischio prescrizione per molti reati ed un allungamento infinito dei tempi della giustizia.

La falsa partenza del 2015, il sequestro e il commissariamento

È da evidenziare che già il processo di primo grado aveva avuto un avvio tortuoso con una falsa partenza nel 2015 per un errore nel verbale, un vizio formale, ovvero l’assenza dei nomi dei difensori di alcuni imputati. Si cominciò quindi a maggio 2016 e si è andati avanti con centinaia di udienze sino a maggio 2021. E tuttavia l’aspetto più rilevante è che questo processo nasce dall’azione che a luglio 2012, quindi 12 anni fa, portò la Magistratura di Taranto a sequestrare gli impianti dell’area a caldo dell’ex Ilva contestando ai Riva gravi reati ambientali. Impianti che sono tutt’ora sequestrati, anche se è stata concessa la facoltà d’uso. Quella vicenda, inoltre, determinò anche l’uscita dei Riva dalla società e il commissariamento dello Stato (giugno 2013). Commissariamento che ora perdura con l’amministrazione straordinaria che ha investito non solo l’ex Ilva, ma anche la società venuta dopo, Acciaierie d’Italia.

Fonte: Il Sole 24 Ore