Ex Ilva: processo spostato a Potenza perché 2 magistrati sono tra le parti civili

La presenza di due magistrati onorari, Martino Giacovelli e Alberto Cassetta, tra le parti civili del processo relativo al reato di disastro ambientale a Taranto contestato all’ex Ilva gestita dal gruppo Riva, ha portato la Corte d’Appello ad annullare la sentenza di primo grado e a trasferire gli atti al procuratore di Potenza, città dove il processo dovrà ricominciare. Così – nelle motivazioni depositate il 24 settembre – la Corte d’Appello, presidente Antonio Del Coco, spiega perché lo scorso 13 settembre, con un’ordinanza, é stata fermata la prosecuzione in secondo grado del processo a Taranto. La sentenza della Corte d’Assise è stata pronunciata a fine maggio 2021: 26 condanne (tra dirigenti della fabbrica, manager e politici) per 270 anni complessivi di carcere (condannati, rispettivamente, a 22 anni e 20 anni di reclusione Fabio e Nicola Riva, ex proprietari e amministratori dell’Ilva) e confisca degli impianti. Ora tutto azzerato.

“La Corte d’Assise – scrivono i giudici di secondo grado – ha attribuito rilievo alla circostanza secondo la quale il dott. Giacovelli, al momento della costituzione di parte civile, aveva, seppure da poco, cessato le sue funzioni e il dott. Cassetta aveva cessato di appartenere all’ordine giudiziario nel lontano 2005”. Ma la Corte Costituzionale, sostiene il collegio dell’Appello, ha ritenuto “ragionevole la regola che dispone l’applicazione della disciplina ordinaria in materia di competenza nel caso di persone ormai prive di funzioni giudiziarie non in ogni caso ma soltanto al momento della commissione del fatto. Dunque, contrariamente agli assunti della Corte di Assise, ciò che più conta é la sussistenza della qualifica soggettiva al momento del fatto, o successivamente ad esso nel momento in cui pende il procedimento, essendo irrilevanti i suoi mutamenti successivi prima dell’avvio del procedimento penale (2010)”. Mentre, dice ancora la Corte d’Appello con riferimento ai due ex magistrati, “il giudice di primo grado ha ritenuto non soltanto che il magistrato eserciti o abbia esercitato le sue funzioni nello stesso distretto di Corte di Appello del giudice competente secondo le regole ordinarie, ma, anche, che la qualità di magistrato debba sussistere nel momento dell’assunzione formale della qualità di indagato, imputato, persona offesa, danneggiato dal reato”. Nello specifico, Giacovelli “si era costituito parte civile per ottenere il risarcimento dei danni cagionati dalle immissioni nocive al suo terreno, sito nelle immediate vicinanze dello stabilimento siderurgico”. Cassetta, invece, “aveva agito per il riconoscimento del risarcimento dei danni patrimoniali, e non, cagionati dalle condotte criminose degli imputati”.

Il tema sollevato dalle difese di alcuni imputati

Erano state le difese di alcuni imputati, tra cui i legali dei Riva, a sollevare sia in primo grado che in secondo la questione dell’incompatibilità dei magistrati di Taranto nel processo “Ambiente Svenduto”, questione respinta dal collegio dell’Assise ma accettata invece da quello dell’Appello. In verità, gli avvocati avevano posto il problema anche in relazione ai magistrati giudicanti, definendoli possibili parti lese dell’inquinamento del siderurgico. Ma la Corte d’Appello ha stabilito che se “deve ritenersi ampiamente giustificata la costituzione civile di Martino Giacovelli, Alberto Cassetta quali persone danneggiate dai reati, deve ritenersi infondata la tesi che vorrebbe individuare in ciascuno dei magistrati che abitano, o che sono proprietari di immobili nelle zone circostanti lo stabilimento Ilva, per ciò solo, persone offese o danneggiate dai reati in materia di inquinamento ambientale. Infatti, nei reati, come quelli di cui si tratta, che coinvolgono un numero indeterminato di persone, la contestazione mossa dal pm consente di delimitare solo l’ambito spazio-temporale nel quale è possibile individuare i potenziali danneggiati. Infatti – rileva la Corte d’Assise -, proprio l’impossibilità di identificare, specificamente, questi ultimi, vale a dire coloro i quali ritengono di avere subito, in concreto, un danno, non permette di ritenere che, per il solo fatto di risiedere nel territorio interessato dall’attività inquinante, si possa essere individuati, men che meno astrattamente individuabili, come danneggiati o persone offese”.

Fonte: Il Sole 24 Ore