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Extraprofitti, la Consulta si rimette alla Corte Ue sul contributo del 2022
Sarà la Corte di Giustizia europea a dover stabilire se il contributo di solidarietà temporaneo imposto agli operatori energetici dalla Finanziaria 2023 (legge 197 del 2022), il cosiddetto «contributo Meloni», sia da considerarsi compatibile con il diritto dell’Unione e, in particolare, con il regolamento europeo approvato nell’ottobre 2022 che introduceva un intervento di emergenza per far fronte al caro energia. È questo il senso del pronunciamento formulato ieri dalla Corte costituzionale (presidente Giovanni Amoroso con Luca Antonini e Giovanni Pitruzzella come redattori) che è intervenuta dopo che il Tar del Lazio e alcune Corti di giustizia tributaria avevano sollevato la questione di legittimità costituzionale delle norme inserite nella manovra 2023.
Il nodo del prelievo sugli extraprofitti
Nel mirino erano finiti, in particolare, i commi da 115 a 119 dell’articolo 1 finalizzato a introdurre un prelievo sugli extraprofitti congiunturali realizzati nel 2022 a carico di una platea di soggetti più larga rispetto ai destinatari delle norme Ue e che vanno dai produttori e rivenditori di energia elettrica ai distributori, dai rivenditori di gas metano e gas naturale a coloro che importano energia elettrica, gas naturale, gas metano o prodotti petroliferi. Un contributo finito poi rapidamente sul banco degli imputati dopo le impugnazioni di diverse imprese del settore che avevano sollevato dei dubbi sia sui destinatari sia sulla composizione del prelievo, messo a terra all’epoca attraverso l’applicazione di un’aliquota del 50% calcolata sull’imponibile Ires per il 2022 e sull’incremento medio superiore al 10% calcolato sui quattro anni precedenti.
Proventi fino a 3,9 miliardi
Secondo quanto si legge nell’ordinanza pubblicata ieri, la misura ha consentito di raccogliere tra i 3,7 e i 3,9 miliardi di proventi grazie all’estensione della platea. Tale scelta, spiega la Consulta nel rimettere la questione ai giudici Ue, va esaminata tenendo anche conto delle peculiarità del contesto energetico nazionale che hanno spinto il governo a rimodulare il prelievo. Diversamente, cioè senza l’ampliamento, l’incasso sarebbe stato circa la metà, come ha riferito l’Avvocatura dello Stato.
«Nonostante gli Stati abbiano piena competenza in materia di imposizione fiscale, la Corte riconosce che questa deve essere esercitata nel rispetto del diritto dell’Unione senza ostacolare il funzionamento del mercato», spiega al Sole 24 Ore Paul Simon Falzini, partner dello Studio Police&Partners, che ha assistito una delle aziende ricorrenti.
Fonte: Il Sole 24 Ore