Fast fashion, la Francia pensa a un sovrapprezzo. Le norme che rendono Parigi all’avanguardia
A finanziare il bonus sono 150 milioni di euro ricavati da i contributi che le aziende devono versare in base a quanto stabilito dalla Agec, acrononimo che – tradotto – sta per legge anti spreco per l’economia circolare, varata a Parigi nel febbraio 2020, subito prima del Covid. La legge – che prevede, tra le altre cose, la messa al bando degli imballaggi di plastica monouso entro il 2040 – prevede maggiore trasparenza (per esempio sulle etichette) e si inserisce in una strategia più ampia che mira a trasformare la filiera tessile in un arco di tempo che va dal 2023 al 2028. Nel dettaglio, punta a costruire una filiera del riciclo tessile, ad aumentare la quota di capi riparati e prevede l’impiego di bonus e malus per le pratiche più o meno virtuose.
«La Francia ha sempre cercato di porsi come paese fatto una vera e propria campagna per presentarsi più virtuoso a rispetto alla media europea – spiega l’avvocato Arnaldo Bernardi, partner del dipartimento Litigation & Dispute Resolution di Dentons, con una lunga esperienza Oltralpe – . Questo ha portato, negli anni, altri Paesi a seguire l’esempio francese e a introdurre regole simili, ma migliorate per tenere conto dell’esperienza maturata in Francia. È il caso, ad esempio, della Germania, con il Supply Chain Due Diligence Act che si iscrive sulla falsariga della«Loi sur le devoir de vigilance», precisandone diversi aspetti e istituendo un vero e proprio sistema sanzionatorio».
Epr e vigilanza: le leggi già in vigore da anni
La Francia, tra le altre cose, aveva già implementato la responsabilità estesa al produttore (Epr) ben prima che questa venisse prevista dalla direttiva europea 852/2018. Il «Code de l’environnement» ha introdotto l’Epr per il settore tessile e delle calzature già a partire dal 2007 “battendo” sul tempo tutti gli altri Paesi, inclusa l’Italia. Quest’ultima pur avendo legiferato in anticipo rispetto alle tempistiche europee (1° gennaio 2025 ) non ha ancora attivato operativamente il sistema di riciclo tessile: da Roma manca un decreto ministeriale attuativo, che è in stand by da oltre un anno in attesa che l’Europa metta mano alla direttiva quadro sui rifiuti. Parigi ha individuato – e confermato fino al 28, il cosiddetto éco-organisme responsabile della gestione delle tematiche Epr per il settore tessile e delle calzature, la società Refashion.
Un altro tema su cui la Francia si è mossa in anticipo è quello della due diligence della supply chain, un argomento che a Bruxelles è ancora in fase di piena discussione visto che la bozza della Csddd approvata dal trilogo delle istituzioni comunitarie a dicembre non è stata approvata dal Coreper perché non si è raggiunta la maggioranza qualificata: la «Loi sur le devoir de vigilance», invece, risale al 2017, e obbliga i grandi gruppi francesi ( 5mila dipendenti in Francia e 10mila a livello globale) a pubblicare un rapporto di vigilanza annuale che dia riscontri sull’impatto ambientale e sociale lungo la filiera.
«Si tratta di una legge certo pioneristica, adottata in Francia dopo la tragedia il crollo del Rana Plaza in Bangladesh . La legge impone alle grandi aziende francesi l’obbligo di rendere conto pubblicamente, con un report, delle misure messe in atto per limitare i rischi di danni gravi ai diritti umani e all’ambiente legati alle attività delle società del gruppo e dei loro fornitori e subfornitori, anche qualora basati in Italia». La normativa, continua Bernardi, «riprende le linee guida Ocse e i principi Oecd e Onu su imprese e diritti umani, ma di fatto, le possibili attività di controllo sono limitate. La loi sur le devoir de vigilance è stata sfrondata delle sanzioni in caso di non conformità, dichiarate non costituzionali dal Conseil constitutionnel, e non prevede un’autorità di controllo dedicata, due aspetti su cui la Csddd avrebbe voluto rimediare».
Fonte: Il Sole 24 Ore