Finte partite Iva: stretta della GdF su chi apre e chiude
Una nuova (ulteriore) stretta in arrivo della Guardia di Finanza sulle finte partite Iva. Quelle che il governo Meloni ha messo sotto osservazione fin dal primo momento del suo insediamento per contrastare il fenomeno che negli ultimi anni è emerso essere alla base delle frodi fiscali: il cosiddetto «apri e chiudi» delle partite Iva. Con una nuova circolare inviata ai singoli reparti il Comando generale delle Fiamme Gialle ha fornito nuove istruzioni per le chiusure d’ufficio quando è accertata l’esistenza dei presupposti per chiudere la partita Iva anche nei confronti di quei contribuenti che negli ultimi dodici mesi hanno comunicato automaticamente la fine dell’attività.
Una possibilità che è stata prevista dall’ultima legge di bilancio per non lasciare possibili vie d’uscita alla stretta antifrode, già avviata con la manovra del 2023. E che va nel solco non soltanto di colpire le finte attività con il provvedimento di chiusura e l’applicazione di una sanzione amministrativa (3mila euro senza la possibilità di ricorrere al cumulo giuridico), ma anche di rafforzare i presidi in caso di eventuale riapertura, obbligando preventivamente al deposito di una garanzia triennale per un importo che non può essere inferiore a 50mila euro.
In questo senso i reparti una volta ultimata l’analisi e l’approfondimento delle posizioni segnalate a livello centrale o durante le attività investigative e ispettive, dovranno inoltrare alla Direzione provinciale delle Entrate la cessazione d’ufficio delle partite Iva anche quando emerga chiaramente che il contribuente «sospetto» abbia già di sua iniziativa comunicato la chiusura dell’identificativo fiscale.
La comunicazione che le Fiamme Gialle saranno tenute a recapitare agli uffici delle Entrate – spiega ancora la circolare del Comando generale diramata il 7 febbraio scorso – dovrà tener conto di alcuni obblighi. A partire dai vincoli temporali fissati dal nuovo comma 15- bis 3 dell’articolo 35 del Dpr 633/1972 introdotto dalla legge di bilancio per l’anno in corso, secondo cui la notifica del provvedimento di chiusura d’ufficio della partita Iva da parte dell’agenzia delle Entrate deve avvenire entro dodici mesi dalla data di avvenuta cessazione dell’attività. Resta poi l’obbligo per i reparti di indicare nella comunicazione inviata alle Entrate le motivazioni che determinano la cessazione d’ufficio anche facendo riferimento a possibili partecipazioni a fenomeni di frode o per gravi o sistematiche attività che danno luogo fenomeni di evasione precedenti alla «cessazione volontaria» della partita Iva, nonché la data dell’avvenuta cessazione automatica dell’attività.
C’è, infine, anche il fenomeno delle partite Iva “inattive”. La nuova stretta prevede di procedere alla chiusura d’ufficio anche nei casi di mancato esercizio dell’attività di impresa o di lavoro autonomo nelle tre annualità precedenti. In questa circostanza, l’attività dei reparti si limita ai soli casi in cui siano stati acquisiti elementi per attivare la chiusura d’ufficio, anche perché per le partite Iva inattive – conclude la circolare di Via XXI Aprile – le inattività delle partite Iva è rilevata direttamente dall’agenzia delle Entrate con il ricorso all’incrocio automatizzato dei dati, che ora certo non mancano grazie alle fatture elettroniche e le liquidazioni periodiche.
Fonte: Il Sole 24 Ore