Fitto: «La politica di coesione non è intoccabile»

Fitto: «La politica di coesione non è intoccabile»

BRUXELLES – «Giù le mani dalla politica di coesione europea». E’ quasi un coro, con qualche doppia voce, quello che si alza dalle regioni e dalle città europee verso la Commissione e verso Raffaele Fitto, a cui è affidato questo delicato portafoglio, in vista della proposta sul nuovo bilancio pluriennale post 2027 che l’esecutivo presenterà a luglio. Nella prima seduta plenaria del nuovo Comitato delle regioni a Bruxelles, sono state molte le voci, di tutte le espressioni politiche, a difesa della governance multilivello e dell’approccio territoriale (place-based) che caratterizza la gestione di circa 370 miliardi di fondi strutturali europei e affida un ruolo centrale alle regioni e alle città. Dopo le indiscrezioni di ottobre, pochi giorni fa la Commissione ha messo nero su bianco l’idea di concentrare in un unico programma nazionale tutti i programmi che oggi sono prevalentemente su base regionale e su capitoli diversi. In Italia, per esempio, sono 51, compresi una decina di programmi nazionali gestiti dai ministeri. «E’ una centralizzazione che distrugge il principio, non negoziabile, della governance multilivello» ha detto Emil Boc, ex premier rumeno del Ppe e oggi sindaco di Cluj-Napoca, nel dibattito di giovedì con Fitto. «Se resta il programma unico nazionale previsto dalla Commissione – ha poi aggiunto al termine del confronto con Fitto nell’emiciclo del Parlamento – è la fine della politica di coesione».

La risposta di Fitto

La risposta del commissario italiano è stata chiara, pur nel suo consolidato stile “democristiano”: «La Commissione difende l’approccio place-based e la governance multilivello, come è scritto nella comunicazione sul prossimo Multiannual Financial Framework (MFF, ndr.). Tuttavia – ha aggiunto è impossibile dire che la politica di coesione sia intoccabile. Dobbiamo capire le sfide che abbiamo davanti». E senza aspettare il nuovo MFF che arriverà fra almeno tre anni, la prima «opportunità per adattare la Coesione alle nuove priorità» è imminente: a metà marzo, infatti, arriverà la revisione di medio termine della programmazione 2021-2027 e, secondo Fitto, «sarà il primo passo per prepararci» al bilancio pluriennale comune post 2027.

La lettera degli Stati membri

Che la politica di coesione sia in una condizione di accerchiamento (non nuova ogni volta che si discute di bilancio) è dimostrata anche dal non-paper che 14 Stati membri, Italia compresa, hanno inviato nei giorni scorsi a Fitto e all’intero collegio dei commissari. Tre sono le richieste: mantenere per la Coesione un budget pari almeno alle risorse dell’attuale MFF; mantenere il criterio del Pil procapite per definire le categorie di regioni; fare in modo che la gestione dell’attuazione continui ad essere condivisa tra i diversi livelli amministrativi in modo che «tutte le regioni possano realizzare gli investimenti necessari sia per la convergenza che per la competitività in base alle opportunità di sviluppo e alle esigenze specifiche dei territori»

Le spese per la difesa e il cambio di prospettiva

La priorità assoluta in questo momento storico è la difesa e i servizi della Commissione stanno esplorando tutti i fronti per capire dove è possibile recuperare risorse, compresa la politica di Coesione a cui finora era consentito solo un approccio dual use. Non è possibile finanziare con il budget Ue la spesa diretta per operazioni militari, ma è consentito – per esempio – realizzare infrastrutture come strade o aeroporti che in caso di bisogno possono essere utilizzate anche per scopi militari. Di recente il Servizio giuridico di palazzo Berlaymont ha aperto la strada per l’uso dei fondi comunitari anche nell’industria della difesa, e ha proposto un «aggiustamento della politica, andando verso un trattamento del settore difesa come qualsiasi altro settore industriale». Secondo questo parere del Servizio giuridico, dunque, la politica di coesione può dunque «supportare il settore della difesa, trattandolo in larga misura come qualsiasi altro settore». In particolare, «gli investimenti in R&S che mirano direttamente allo sviluppo di nuove tecnologie per gli investimenti militari o produttivi che rafforzano le capacità di produzione della difesa diventerebbero ammissibili se contribuissero allo sviluppo regionale». Un cambio di prospettiva inimmaginabile fino a un paio di anni fa.

Fonte: Il Sole 24 Ore