Flotte, stretta del Fisco sulle auto aziendali: ecco tutti i rincari
Un’altra bella frenata al mercato auto e un’ulteriore strizzata fiscale a imprese e assegnatari di company car. È questa la sintesi e la cifra della politica economica sulle auto aziendali prevista nella Finanziaria in esame. Per chi voglia verificare tale conclusione, ecco i fatti e gli impatti prevedibili. Il Ddl Bilancio, all’articolo 7, prevede di tassare le auto aziendali, per la parte di uso privato che dunque costituisce un reddito in natura per il dipendente, in base all’alimentazione del motore, distinguendo tra full electric, ibride plug-in e termiche, con queste ultime che includono sia le ibride senza spina che quelle a metano/Gpl. Oggi il parametro sono le emissioni di CO2, la cui diminuzione era all’origine delle norme green che adesso evidentemente hanno una bussola diversa: spingere le auto elettriche. Un altro schiaffo alla neutralità tecnologica, che a parole questo Governo dichiara di perseguire. C’è dell’altro.
La revisione dei coefficienti
I coefficienti usati per calcolare il valore del prelievo vengono rivisti, tassando meno le auto elettriche, le plug-in e le termiche grandi (circa il 15% delle scelte delle aziende) e molto più le altre, il grosso delle company car. Le stime di Aniasa, l’associazione dei noleggiatori, sono impietose. Chi dovesse scegliere auto con emissioni di CO2 oltre 190 gr/km (ossia quelle più grandi, destinate ai top manager) avrebbe un risparmio di 700 euro per sé e altri 400 di contributi Inps per l’azienda. Sì, letto bene, chi emette di più paga di meno, oltre 1.100 euro all’anno di meno. Si tratta del 2% delle vetture, ma come si dice? ciò che conta è il pensiero. Gli altri dirigenti, quelli con auto comprese tra 160 e 190 gr/km, pagherebbero poco di più, sopra i 100 euro loro e appena sotto l’azienda: 200 euro in totale. A ricevere l’attenzione maggiore sono quelli che viaggiano su macchine comprese tra 60 e 160 gr/km, cioè la stragrande maggioranza degli assegnatari, quelli che davvero macinano decine di chilometri per lavoro e magari sono quadri e impiegati. Il gesto previsto per loro dal Governo vale 1.000 euro di maggior prelievo più altri 600 quasi per l’azienda.
La scelta della vettura
Accanimento? No, suggerimento, perché la via d’uscita è lì, basta coglierla. Scelgano un’ibrida plug-in e le ritenute diminuiranno di oltre 200 euro e per loro e 100 per l’impresa: sì, non sono cifre speculari all’aggravio, ma perché cavillare? Ancora meglio se passassero a una full electric: meno 600 e meno 360 rispettivamente. Dunque, dove sta il problema? Il problema è che andare in giro in cerca di colonnine non rientra nella job description degli assegnatari di company car né di 97 italiani ogni cento. Far finta di non capire questa semplice verità che i clienti stanno segnalando è veramente difficile da digerire. Va bene, ma con le plug-in non c’è questo problema. Vero, ce n’è un altro, ancora maggiore. Negli ultimi anni le flotte sono state il maggior acquirente di queste motorizzazioni, che senza imporre soste forzate per ricaricare consentono di dichiarare nel company profile una dimensione green che tanto piace agli analisti, quelli che una volta pensavano alla redditività. Peccato che i manager che hanno optato per questa soluzione abbiano poi scoperto che i consumi sono quelli di un jet, dovendo trasportare alcuni quintali di batterie.
Gli effetti della nuova normativa
Fin qui la norma, ancora da approvare. Quali sarebbero gli effetti? A livello politico, probabilmente si tratta di una bandierina green da sventolare con Bruxelles quando si discuterà dei soldi veri della Finanziaria. Nel mercato, invece, ci sarebbe un ulteriore stop all’immatricolazione di nuove auto. Va da sé che solo una sparuta minoranza aderirà all’incentivo a mettersi a cercare colonnine e consumare lunghi caffè americani. Per gli altri non resta che continuare a girare con l’auto che hanno, spostando in avanti la sua sostituzione. Pertanto, il segmento che in Italia conta una targa su quattro e anche di valore superiore alla media dei privati rallenterebbe le immatricolazioni. Per gli operatori non c’è alcun problema, visto che non fatturano macchine ma servizi e nei prolungamenti sono sempre riusciti a portare a casa più soldi di quelli previsti nei contratti originari. No, questo provvedimento penalizzerebbe solo chi le macchine le fabbrica, ossia gli operai. Aniasa stima 80mila auto in meno nel 2025, pari al 5% del mercato auto totale.
Purtroppo c’è una verità evidente, che anche gli esponenti del Governo e della sua maggioranza conoscono bene, che però fatica a entrare nella produzione legislativa: la mobilità elettrica si può scegliere, sì, ma non si può imporre per legge.
Fonte: Il Sole 24 Ore