Formazione, benefit, prestiti: così l’azienda dà forza ai lavoratori

Formazione, benefit, prestiti: così l’azienda dà forza ai lavoratori

Negli Stati Uniti e in Svizzera è una cifra che oscilla tra i 55 e i 50 dollari al giorno per persona; in Egitto, India o Indonesia questa cifra scivola fino agli otto o dieci dollari; risale per toccare il range che varia tra gli otto e i 13 dollari in Brasile, Cina, Messico o Sudafrica; in mezzo ci sono l’Australia, l’Italia e il Giappone, Paesi in cui viene stimato un fabbisogno di 40 dollari al giorno a individuo per avere la garanzia di non scivolare sotto la soglia di povertà.

L’analisi

Uno studio dal titolo “Economic empowerment made-to-measure: How companies can benefit more people del McKinsey Global Institute” ha provato a stimare il valore dell’empowerment economico dei lavoratori, il risultato è preoccupante: circa il 40% della popolazione mondiale vive al di sopra della linea di empowerment, ovvero può permettersi un paniere standard di beni e servizi essenziali e iniziare a risparmiare.

Ciò significa che sei lavoratori su dieci non possono permetterselo. Traducendo le percentuali in individui vuol dire che c’è una platea di 4,7 miliardi di persone, sugli otto miliardi della popolazione mondiale, che non solo faticano ad arrivare a fine mese ma che toccano costantemente l’indigenza: in Europa, nazioni ad alto reddito come Francia, Germania, Italia e Regno Unito hanno ciascuna tra i nove e i 15 milioni di persone che vivono al di sotto della soglia delle cosiddetta emancipazione economica. In Brasile invece sono circa 120 milioni, e 70 milioni negli Stati Uniti. In Asia, questo numero tocca il miliardo di persone, circa 640 milioni in Cina. Un quadro allarmante che però ha già in sé l’indicazione di chi può essere l’attore in grado di risolverla. L’allarme fotografato dallo studio ha infatti una importante pars construens, laddove viene analizzata la centralità del ruolo che le aziende possono avere per accrescere questo empowerment.

Le strategie

Il report scandaglia le iniziative adottate da 100 grandi aziende e individua oltre 70 tipologie di interventi volti a sostenere l’empowerment, che spaziano dall’assistenza sanitaria sovvenzionata per i dipendenti alle donazioni alle banche alimentari, fino ai programmi di formazione per aumentare il potenziale di guadagno.

«Ci ha colpito – spiega Marco Piccitto, managing partner per il Mediterraneo e chair del McKinsey Global Institute Council – il grado di disomogeneità dei programmi dedicati all’empowerment di queste 100 aziende, scelte sulla base delle loro dimensioni e dell’impatto nei rispettivi settori, nonché della rilevanza che attribuiscono ai temi sociali nella comunicazione. Questi spaziano dalla fornitura di pasti e di servizi per la salute, al supporto alla formazione e a soluzioni di social housing. Dalla nostra analisi emerge che non esiste uno standard che guidi le decisioni e indichi delle priorità in questo ambito. Di qui la necessità di introdurre una metrica omogenea che misuri i benefici delle diverse iniziative sociali, aiutando le aziende nella scelta di quelle più efficaci ed efficienti». Perché nei casi in cui gli interventi sono omogenei e soprattutto coerenti con il reale fabbisogno del mercato del lavoro in cui si esplicano, i numeri certificano la bontà di questo approccio. «L’adozione cioè di iniziative più efficienti in termini di costi – illustra lo studio – potrebbe generare un maggiore impatto di empowerment con un budget costante. Ad esempio, negli Stati Uniti, dove aziende e fondazioni private stanno contribuendo con circa 135 miliardi di dollari in donazioni filantropiche, aumentare l’efficienza dei costi delle iniziative finanziate da questa cifra del 10 % potrebbe portare all’empowerment tra quattro milioni e cinque milioni di persone».

Fonte: Il Sole 24 Ore