Formazione, Piano e fondi: il Governo tenta il recupero
Prima il Libro bianco presentato venerdì e redatto dal comitato tecnico-scientifico dell’Osservatorio nazionale sulla violenza contro le donne: la base per le prime linee guida univoche sulla formazione di tutti gli attori, dalle forze dell’ordine agli operatori sanitari, dai magistrati agli avvocati, dagli insegnanti ai giornalisti. Poi, entro fine anno, l’aggiornamento del Piano strategico nazionale antiviolenza (l’ultimo adottato è relativo al 2021-2023), al quale stanno lavorando i tavoli convocati da fine ottobre al dipartimento Pari opportunità della presidenza del Consiglio, guidato da Laura Menicucci. Tavoli che seguono le “quattro P” della Convenzione di Istanbul, intorno alle quali è stato costruito il Piano precedente: prevenzione, protezione, punizione, promozione e assistenza. L’ottica sarà dunque di continuità, con un accento più marcato sulla definizione delle priorità e sugli strumenti concreti da utilizzare per perseguire gli obiettivi. Sono queste le mosse con cui il Governo, incalzato da una cronaca che non smette di restituire tragedie, prova a ridare impulso all’azione contro la violenza sulle donne, ferma nei fatti alla legge Roccella di un anno fa.
Pronto il decreto di riparto del Fondo per le vittime di violenza
È stato inoltre predisposto il nuovo decreto di riparto tra le Regioni del Fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità destinato a finanziare l’assistenza alle donne vittime di violenza e ai loro figli. Sul piatto lo stesso livello di risorse garantito nel 2023 – 55 milioni (erano 40 nel 2022) – a cui si aggiungono i 25 milioni stanziati annualmente fino al 2026 dalla legge di bilancio per il 2024 per nuovi centri antiviolenza (5 milioni) e case rifugio (20 milioni). Il decreto dovrebbe approdare a breve in Conferenza Stato-Regioni. Quanto ai requisiti minimi delle strutture, l’intenzione che filtra dall’Esecutivo è quella di non arretrare sui principi cardine dell’intesa Stato-Regioni: per introdurre soluzioni «chirurgiche» è in corso con le Regioni una verifica sulle criticità nei singoli territori.
Le incognite del progetto “Educare alle relazioni”
Alle iniziative che fanno capo alla ministra per la Natalità, la Famiglia e le Pari opportunità, Eugenia Roccella, convinta che il Libro bianco rappresenti «un punto fermo» per la definizione e il riconoscimento della violenza (a lei spetta ora l’arduo compito di tradurlo in linee guida per la formazione), si affiancano quelle di altri ministeri. Il titolare del Viminale, Matteo Piantedosi, ha finalmente riconosciuto l’esistenza di «indubbie criticità» nel sistema dei braccialetti elettronici (10.458 quelli attivi al 15 novembre 2023, si veda l’articolo a pagina) e martedì a Palazzo Chigi si è svolta una riunione presieduta dal sottosegretario Alfredo Mantovano per individuare i rimedi ai troppi malfunzionamenti. Quanto al progetto “Educare alle relazioni” presentato un anno fa dal ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara, è buio pesto: non esiste un monitoraggio ufficiale dell’iniziativa, che avrebbe dovuto articolarsi in gruppi di discussione tra studenti e professori per 30 ore complessive extracurricolari, finanziati con 15 milioni di euro di fondi Pon.
Il giudizio dei centri antiviolenza: «Manca visione d’insieme»
Ma qual è il bilancio dell’azione di governo secondo la rete dei centri antiviolenza? Le linee guida contenute nel libro bianco sono considerate un passo importante, sollecitato dalle stesse associazioni e centrale per il tema della formazione. Non a caso il vademecum è “tecnico”, frutto del lavoro delle componenti del Cts, tutte esperte di violenza: la filosofa del linguaggio Fabrizia Giuliani, che lo coordina, la giudice Paola Di Nicola, la ginecologa Alessandra Kustermann, la dottoressa Vittoria Doretti, la sociologa e attivista Lella Palladino, la manager Claudia Segre. Tuttavia, si tratta di linee guida che andranno valutate nel merito, visto che il testo non è stato condiviso con i centri prima della presentazione al pubblico e alla stampa. Più in generale, però, da più parti l’azione del Governo viene giudicata poco efficace: molte le reazioni “a caldo” dell’Esecutivo ai fatti più eclatanti di cronaca, scarsa la visione prospettica. «Manca una visione d’insieme, una progettazione sistemica, e a pagare il prezzo sono le donne che subiscono violenza», lamenta Antonella Veltri, presidente D.i.Re – Donne in rete contro la violenza (a cui fanno capo le associazioni che gestiscono in Italia 117 centri e più di 66 case rifugio, ascoltando ogni anno circa 23mila donne).
Case rifugio, è allarme per la bassa copertura di posti letto
Lo dimostrano, per le associazioni, anche la gestione del Piano antiviolenza, scaduto nel 2023, e i nodi della ripartizione dei fondi e dei requisiti minimi per i centri, tutti ancora da sciogliere. «Al momento, per esempio, abbiamo una copertura bassissima di posti letto nelle case rifugio e questo mina tutto il sistema di protezione», dice Elisa Ercoli, presidente di Differenza Donna, che oltre a gestire centri antiviolenza e case rifugio in Campania e Lazio, è responsabile del numero antiviolenza 1522 del dipartimento.
Fonte: Il Sole 24 Ore