Fra rovine e nuovi inizi: l’arte solare di Anselm Kiefer

Rovine, transitorietà nella monumentalità, caduta e rinascita, impersonalità attiva. Sono solo alcuni dei vettori attorno a cui si sviluppa la travolgente creatività dell’artista tedesco Anselm Kiefer. Il quale danza, con garbata eleganza ma capace di subitanee mosse estreme, in quanto radicalmente critiche e inattuali, fra le forme del nostro immaginario, siano queste simboli, allegorie, spettri, simulacri, ricordi o profezie.

Il 2024 è un anno importante per la ricezione di Kiefer nel nostro Paese: si apre con la conclusione della mostra romana “The Consciousness of Stones” (Galleria Lorcan O’Neil), continua con la grande mostra fiorentina “Angeli Caduti”, a Palazzo Strozzi (22 marzo-21 luglio), prosegue ancora con l’uscita del film di Wim Wenders “Anselm. Das Rauschen der Zeit”, nelle sale italiane dal 30 aprile.

A fungere da supporto teorico – vera e propria guida nel labirinto dell’estetica kieferiana – è un ponderoso saggio, anch’esso di recente pubblicazione: “Prologo celeste. Nell’atelier di Anselm Kiefer” (Einaudi, Torino 2023), a firma di Vincenzo Trione, curatore artistico e Professore ordinario presso l’Università IULM di Milano.

Monografia

Si tratta della prima esaustiva monografia su Kiefer edita in Italia: un affresco, basato sul viaggio condotto da Trione a La Ribaute, l’atelier di Kiefer nei pressi di Barjac, in cui immagini, riflessioni filosofiche, citazioni letterarie e intermezzi mistici introducono il lettore nei luoghi che, con simile piglio lirico, Wim Wenders squaderna nei frames della sua produzione cinematografica.

La Ribaute

La Ribaute, nota Trione, è un “cronorifugio”: un luogo magico in cui fuoriuscire dal tempo presente e riappropriarsi, tramite la forza della memoria, del nostro passato, “con le sue reticenze e i suoi silenzi. Con i suoi odori e i suoi volti. Con le sue cose anche insignificanti e con le sue tracce, annidate soprattutto in posti dimenticati e tranquilli”. Qui, aggiunge Trione, “la storia riconquista il suo respiro, ricomincia a scorrere, a muoversi”. È la sensibilità che, iconicamente, si coglie nel sapiente e pacato agire di Kiefer, il quale, dopo aver terminato il proprio lavoro di artista-artigiano immerso nella materia, si muove concentricamente in bici nei giganteschi spazi del proprio atelier. Wenders coglie, in questa immagine, la densità poetica di un’esperienza “umana troppo umana”: creatore di mondi, vero e proprio demiurgo capace di istituire nuovi piani di realtà, appare in ultima istanza perso nella propria stessa creazione. Vibrante fra meraviglia e spaesamento. Radicale Weltlosigkeit: assenza di mondo, per chi si muove nomadicamente fra tanti universi senza appartenere a nessuno di essi. Eppure, nella sua opera, diversamente da molti altri contemporanei, non si coglie la vibrazione nichilistica della disperazione: ad ogni tenebra fa sempre da contraltare una fiaccola luminosa. Non è la speranza degli ingenui, piuttosto la certezza di chi ha gustato l’abisso e ne è saputo fuoriuscire. Per poi, costantemente, osare ritornarvi, senza dimenticare, tuttavia, che l’ascesa è sempre possibile. Ecco che i tunnel scavati a Barjac, percorsi come l’ossessione di uno sprofondamento oscuro, diventano il trampolino verso quei cieli – stellati, notturni, sublimi – che fanno da sfondo a tante tele kieferiane.

Fonte: Il Sole 24 Ore