Francia, governo a rischio sfiducia, spread ai massimi dal 2012
Sull’orlo di una crisi. Il governo francese di minoranza guidato da Michel Barnier, nominato primo ministro il 5 settembre, potrebbe inciampare, forse già la prossima settimana, su un voto di censure, di sfiducia. Per la prima volta il Rassemblement national, la formazione di destra radicale, potrebbe convergere verso la mozione preannunciata dai partiti di sinistra, che rischiano però una spaccatura.
Spread ai massimi dal 2012, rendimenti più alti di quelli greci
Il nodo è la legge finanziaria, e quindi il bilancio. La crisi si è così già manifestata sui mercati: mercoledì 27 novembre l’indice azionario Cac 40, che segue un trend al ribasso da fine settembre, ha perso lo 0,72% dopo essere calato anche dell’1,4% durante le contrattazioni. Lo spread tra l’OaT decennale e Bund si è intanto portato a 85,12 punti base, sfiorando quota 90 (a 89,92) nel corso della seduta: è ormai ai massimi da almeno 12 anni. Il rendimento del benchmark francese, al 3%, è salito ai livelli di quello greco, superati nel corso della seduta di giovedì 28 novembre, quando il decennale francese ha raggiunto quota 3,02% rispetto al 3,01% dei titoli di Atene. Michel Barnier, del resto, aveva lanciato un monito preciso – con toni forse troppo allarmistici per i gusti dei mercati – in un’intervista a TF1 martedì: «Ci sarà una tempesta probabilmente piuttosto grave», aveva detto, riferendosi alla caduta dell’esecutivo.
Il «no» di Marine Le Pen
Il governo Barnier sta lentamente scivolando nel peggiore e nel meno probabile degli scenari ipotizzati dopo la sua formazione. Marine Le Pen, la leader di fatto del Rassemblement national che aveva mostrato, forse tatticamente, un atteggiamento pragmatico verso il governo, ha dichiarato al termine di un incontro con il primo ministro di essere orientata a votare la censura. «La mia posizione non è cambiata – ha detto – né è cambiata quella del primo ministro». È soprattutto l’aumento delle imposte sull’elettricità che non piace a Rn, che tende a mitigare gli allarmismi: «Si applicherà il budget dell’anno scorso (in realtà del 2024, ndr): è molto meno cattivo di questo, perché ci sono meno imposte che peseranno sulle classi popolari e le classi medie». Non sarebbe una soluzione facilmente percorribile (sono tanti i dubbi dei costituzionalisti). Il bilancio 2024, inoltre potrebbe non piacere ai mercati e alla Commissione Ue: quest’anno il deficit viaggia verso il 6,1%. Giovedì 29, il ministro dell’Economia Antoine Armand ha spiegato, in un’intervista su BfmTv, di essere pronto a fare «concessioni», per evitare la «tempesta»: «Meglio un budget che non è esattamente quello che vogliamo che nessun bilancio». Non è detto però che Rn cambi la sua posizione.
La censure delle opposte opposizioni
Se il governo, come è praticamente certo, dovesse ricorrere – forse già la prossima settimana – all’articolo 49.3 della Costituzione che permette il varo della Finanziaria senza un voto parlamentare, sarebbe quindi esposto a una mozione di censure, da presentare entro 24 ore. A questo punto, come ha lasciato intendere Le Pen, potrebbe accadere qualcosa di impensabile fino a qualche settimana fa: la convergenza del voto della destra sulla mozione già preannunciata della sinistra. Non è successo per le finanziarie votate nel 2022 e nel 2023, che sono state presentate dal governo di minoranza di Élisabeth Borne, un esecutivo che è riuscito, con questa reciproca conventio ad excludendum tra le opposte opposizioni, a far approvare persino la riforma delle pensioni.
Un voto unitario della sinistra e della destra sarebbe quindi un fatto politico dirompente, per una Francia che solo a luglio è stata chiamata a raccolta per congelare politicamente il Rassemblement national (che pure ha raccolto al primo turno, con gli alleati, circa 11 milioni di voti).
Macron senza una strategia
Per Emmanuel Macron sarebbe una sconfitta dal valore strategico: il presidente ha lasciato che il suo primo ministro (e il suo delfino, forse) Gabriel Attal si impegnasse personalmente per costruire un Campo repubblicano in grado di isolare la destra radicale, ma ha poi civettato con lo stesso Rn per ottenere un atteggiamento non pregiudizialmente ostile verso una coalizione che coinvolgesse i suoi alleati e la destra repubblicana. Il governo Barnier si è caratterizzato da subito per una brusca svolta a destra: su sicurezza e immigrazione ha adottato toni e proposte tipiche del Rassemblement, contribuendo – così come la politica degli ultimi governi macroniani – a sdoganare di fatto, e nell’opinione pubblica, la destra radicale.
Fonte: Il Sole 24 Ore