Fuori corso da sette anni? Il padre può smettere di pagare l’università
Era una matricola nel 2009, lanciato verso una laurea triennale in giurisprudenza che, nel 2017 non era ancora arrivata. Per l’eterno studente, come per la sua mamma, la colpa del pezzo di carta sfumato e, dunque, della mancata indipendenza del giovane era del padre che, nel biennio 2018-2019, aveva chiuso i cordoni della borsa e smesso di pagare l’università. Cosa che, peraltro, aveva fatto la madre dell’aspirante avvocato, anticipando una somma poi rimborsata dall’ex marito, dopo l’intervento del giudice di pace.
La Cassazione guarda ai fatti. E respinge i ricorsi di madre e figlio, ormai ultratrentenne, contro il genitore accusato, tra l’altro di una disparità di trattamento per mantenere il figlio, nato da una nuova relazione, all’università Bocconi, facendo mancare la retta al primogenito, iscritto in un ateneo del sud. Gli ermellini concordano con la Corte d’appello che aveva considerato imputabile «all’inerzia colpevole del figlio il mancato completamento del corso di studi e la sua mancata indipendenza economica». Con il risultato che era stata confermata, la scelta già fatta dal Tribunale, di revocare il mantenimento al ragazzo, troppo lento negli studi.
Non regge neppure l’argomento della difesa relativo alla laurea della sorella del ricorrente che aveva portato a termine gli studi, sempre assistita dal padre. Nè funziona con i giudici, il giocarsi la carta della frustrazione, conseguenza dall’abbandono paterno unita «allo stress dovuto alle numerose azioni giudiziarie intentate per costringere il padre all’adempimento dei propri doveri, e la prostrazione comparsa a seguito del procedimento penale». Per i giudici di merito, come per quelli di legittimità, nulla giustifica l’inerzia.
La revoca del mantenimento
Fanno invece breccia gli elementi offerti dal padre che «inducono a ritenere che il mancato pagamento delle tasse universitarie da una certa epoca in poi – si legge nella sentenza – allorquando il figlio aveva superato il settimo anno fuori corso, costituisca una mera giustificazione, non appagante a fronte del mancato impegno delle proprie energie personali verso la continuazione meritevole degli studi».
La Corte esclude che «il pagamento delle tasse universitarie dovesse avere una durata illimitata, a fronte del mancato perseguimento di un risultato che doveva attendersi sin dal 2012, stante il pagamento delle tasse sino al 2017; il riferimento alle difficoltà personali, dovute agli screzi col padre e all’avvio da parte di questi di iniziative giudiziarie anche penali, volte alla mortificazione dei diritti del figlio, non può invero giustificare la persistenza dell’obbligo di mantenimento, perché, alla data del ricorso (2020), il figlio non dava esami da tre anni ed era già al settimo anno fuori corso. Peraltro, anche per il 2020, il padre ha corrisposto le somme per le tasse universitarie del figlio».
Fonte: Il Sole 24 Ore