G7 cultura: musei sostenibili e cultura nelle agende climatiche internazionali

Tra i vari impegni presi dai paesi del G7 Cultura di Napoli, tramite la Dichiarazione sottoscritta dai sette Ministri, si legge quello di rafforzare la resilienza del patrimonio culturale di fronte ai cambiamenti climatici e ai disastri naturali. L’adozione della Dichiarazione giunge proprio al termine di un’estate caldissima, durante la quale i fulmini di temporali tropicali hanno rovinosamente colpito l’arco di Costantino a Roma e il Rettore dell’Università degli Stranieri di Siena, Tomaso Montanari, con un post ritraente ceri tortili, su Instagram, ci fa riflettere sulla caducità delle opere d’arte nelle torride chiese fiorentine. Mentre l’Onu qualche settimana fa pubblicava il rapporto “Mari che si alzano in un mondo che si riscalda” in cui si profetizza la futura scomparsa di isole e città, come Venezia e New York e Climate X stilava la lunga lista dei siti culturali Unesco minacciati dal cambiamento climatico, la citata Dichiarazione ministeriale si impegnava a mettere la cultura nelle agende climatiche internazionali.

Il quadro normativo nel quale i Ministri dei Beni Culturali del G7 si sono mossi non è completamente privo di regolamentazioni, esse tuttavia sono spesso ignorate perché sbilanciate rispetto ad altre priorità e interessi come quelli della conservazione e tutela. In primis, non va dimenticato che la normativa internazionale, europea e nazionale sul clima si rivolge anche alla cultura, intesa come musei, parchi archeologici, siti e istituti culturali e al personale che in essi lavora. Questo è stato ribadito dalla Conferenza delle Nazioni Unite sul Clima del 2023 (COP28) che ha sottolineato l’importanza dell’integrazione della cultura nelle discussioni globali sul clima, con l’inclusione della protezione del patrimonio culturale nel Quadro di Resilienza Climatica Globale degli Emirati Arabi Uniti e la creazione del Gruppo di Amici dell’Azione Climatica Basata sulla Cultura. Oltre a questo, vi è una copiosa normativa di settore, come il “Quadro di riferimento di Sendai per la riduzione del rischio di disastri”, adottato nel 2015 dagli Stati Membri delle Nazioni Unite, tra cui l’Italia, che prevede la protezione del patrimonio culturale e la promozione della “resilienza culturale” di persone, comunità e paesi e invita a comprendere meglio gli impatti dei disastri sul patrimonio e a promuovere la protezione delle istituzioni culturali. Vi è poi, a cascata, tutta la prolifica normativa non-binding dell’Unesco, tra questi atti si ricordano: la Raccomandazione dell’Unesco sul Paesaggio Urbano Storico (2011), il Documento Politico dell’Unesco del 2023 sull’Azione Climatica per il Patrimonio Mondiale e i risultati dell’Incontro Internazionale su Cultura, Patrimonio e Cambiamento Climatico co-sponsorizzato dal Gruppo Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici (IPCC), dall’Unesco e dal Consiglio Internazionale dei Monumenti e dei Siti (Icomos) (2021).

La dichiarazione e le azioni future

Mentre i Ministri dei beni culturali impegnano i loro governi a integrare considerazioni culturali nelle agende climatiche internazionali, anche in vista della COP29 a Baku, Azerbaigian, nel 2024, e della COP30 a Belém, Brasile, nel 2025; la dichiarazione assume toni programmatici quando richiama le istituzioni culturali all’appello. A questi soggetti si chiede di “ispirare ed educare il pubblico a stili di vita e di lavoro più rispettosi dell’ambiente e rendere più sostenibili eventi culturali, esposizioni e festival”. Si richiede quindi a tutto il settore culturale, nessuno escluso, di “riconoscere l’urgenza” e di “cooperare nell’integrazione della sostenibilità ambientale e delle questioni climatiche nella politica e nella pratica culturale … per sviluppare strategie e azioni efficaci per mitigare i danni prodotti dai cambiamenti climatici e dai disastri naturali sulle risorse culturali, prevenendone la perdita irreversibile”. Anche la ricerca e lo sviluppo tecnologico saranno asserviti a questa missione con il compito di attivarsi “per la prevenzione, la proiezione degli impatti climatici futuri e il monitoraggio dei rischi e dei danni agli oggetti, siti e paesaggi del patrimonio culturale, informando la pianificazione e il processo decisionale”.

Tra le azioni concrete si chiede ai governi dei sette paesi di “garantire che le questioni culturali siano riconosciute nella gestione del rischio di disastri e nelle politiche e pratiche relative ai cambiamenti climatici”. Inoltre, si legge “la transizione ecologica” dovrà necessariamente riguardare “i settori e le industrie culturali e creative e le istituzioni culturali”. Tra i vari impegni si annoverano inoltre la promozione della ricerca, anche attraverso alleanze e partenariati, finalizzata ad individuare soluzioni basate su evidenze per la mitigazione e l’adattamento ai cambiamenti climatici per i settori culturali e creativi, che riguardino sia il patrimonio culturale tangibile e intangibile.

L’implementazione concreta di questi principi e la trasformazione delle intenzioni in azioni tangibili restano un punto interrogativo. Rendere musei, siti archeologici e istituzioni culturali “a impatto zero” richiederà certamente investimenti significativi non solo in termini di infrastrutture, ma anche nella formazione del personale, nella ricerca e nell’adozione di tecnologie avanzate per mitigare i danni causati dal clima. Le spese associate alla transizione ecologica per il settore culturale non sono indifferenti: l’efficientamento energetico degli edifici storici, l’installazione di sistemi di climatizzazione sostenibili, la digitalizzazione dei dati per monitorare l’usura dei beni e la loro protezione, richiedono fondi considerevoli. A questo si aggiunge il bisogno di sensibilizzare e coinvolgere il pubblico, un processo che richiede ulteriore investimento in campagne educative e programmi di formazione. Alla luce di ciò, l’interrogativo cruciale è se nella manovra di bilancio verranno stanziati fondi adeguati a sostenere questi obiettivi ambiziosi. Ad oggi, non ci sono indicazioni chiare su specifici stanziamenti dedicati alla sostenibilità del settore culturale, e l’attuale contesto economico, con molte priorità concorrenti, potrebbe relegare queste spese a un ruolo secondario. Tuttavia, il rischio è che senza un impegno finanziario concreto, gli obiettivi delineati nella Dichiarazione restino soltanto sulla carta, e il patrimonio culturale italiano, pur riconosciuto e celebrato in tutto il mondo, si trovi vulnerabile di fronte agli impatti del cambiamento climatico.

Fonte: Il Sole 24 Ore