Gallleria Più chiude le proprie attività

GALLLERIAPIÙ, galleria votata alla ricerca e alla scoperta di nuovi talenti chiude i battenti dopo 10 anni di attività. Una galleria di ricerca che chiude è in fondo una sconfitta per il sistema in generale, che ancora una volta si rivela insostenibile per chi oltre alla funzione commerciale affianca una funzione culturale, con gli oneri che questo comporta. Ce ne parla Veronica Veronesi, fondatrice di GALLLERIAPIÙ.

GALLLERIAPIÙ ha chiuso il suo percorso, ci racconti i motivi?

Il modello di business di GALLLERIAPIÙ, che posso definire “pure-play”, è fortemente deficitario; sicuramente ha permesso di specializzarmi in una specifica area, quella della sperimentazione e della ricerca di nuovi linguaggi, e di consolidare la reputazione della galleria che proprio per questa caratteristica si è distinta negli anni. Allo stesso tempo, ha limitato il raggio di azione e di proposta. Chi resiste lo fa grazie al mercato secondario o perché ormai ha un brand (come se fosse una marca di lusso). Se sei una galleria che fa il lavoro della galleria, e cioè cercare talenti con un approccio da curatore/museo, il mercato non ti premia. C’è tanto da dire sulla parola “mercato”, perché l’arte è molto lontana dall’essere un mercato libero. Conflitti d’interesse, potere, mode, poca meritocrazia: diciamo che non si parla esattamente di mercato e competizione in senso classico.

Qualche riflessione legata a questa decisione?

Ha ancora senso avere uno spazio espositivo quando tutto è digitalizzabile, infinitamente espandibile e algoritmicamente programmabile? Le gallerie d’arte sono sempre meno attraversate e vissute. Nel corso degli anni, le trasformazioni socio-economiche hanno indebolito il ceto medio, i cambiamenti urbanistici e i processi di turistificazione di capoluoghi come Bologna stanno modificando radicalmente i tessuti commerciali delle città. I piccoli commerci al dettaglio di qualità che si rivolgono a un ceto medio subiscono la concorrenza dei mercati fast e di quelli del lusso. Le gallerie d’arte non sono esenti da questi cambiamenti che rendono difficile la competizione.

Fonte: Il Sole 24 Ore