Gelata sul tessile-abbigliamento, fatturato giù del 6,2% a settembre

Nessuno immaginava che la gelata del tessile e della moda si prolungasse così a lungo. Con alcuni settori come quello della pelletteria in profonda crisi. Era iniziato tutto lo scorso inverno con un calo delle vendite che in molti pensavano essere soltanto passeggero. Invece soprattutto il crollo delle esportazioni a luglio (-18,3% su anno) ha fatto scattare il campanello d’allarme. Sergio Tamborini, amministratore delegato di Ratti spa e presidente di Sistema Moda Italia, l’organizzazione di rappresentanza degli industriali del settore, non fa sconti nell’analisi di questa frenata del comparto.

«Le cause sono diverse e tutte in qualche modo necessitano di risposte non facili. In primo luogo – spiega – venivamo dal periodo post Covid che ha rappresentato una liberazione grazie anche all’impennata dei consumi, creando quasi una bolla con continue crescite a doppia cifra. Soldi non spesi negli anni precedenti e che ritornavano sui mercati nello stesso momento. Sicuramente un fenomeno con un evidente aspetto di tipo psicologico non secondario».

Il risveglio dal post Covid

Il risveglio da quegli anni è stato duro. «Rialzo del costo del denaro, mutui alle stelle con la conseguenza che la classe media europea, ma anche quella statunitense, ha chiuso i rubinetti della spesa». A questo poi si è aggiunto il mutato atteggiamento di tanti paesi soprattutto asiatici che stanno cominciando a fare da soli. «In posti come la Cina o la Corea del Sud la tendenza è quella di un aumento dei consumi verso i marchi locali. Un po’ perché il rapporto con l’Occidente si è fatto via via più complesso, in secondo luogo non possiamo pensare che se noi imponiamo dei dazi sui loro prodotti, loro non siano più freddi con i nostri. Ma poi – continua Tamborini – vedo una tendenza culturale e politica che va verso l’abbandono dei modelli occidentali e questo si riverbera anche sull’acquisto di prodotti che sono per loro natura prima di tutto culturali».

Il focus sulla sostenibilità

Un altro elemento da valutare è poi la questione della sostenibilità che invece va ad incidere in maniera visibile soprattutto sui comportamenti delle nuove generazioni. «Dobbiamo fare i conti anche con questa tendenza. L’aumento del riuso, degli abiti usati, incide chiaramente anche sui consumi. Se prima un giovane in un anno comprava dieci camicie, oggi possibilmente ne acquista due». Tutto questo si riflette sui dati dell’evoluzione congiunturale raccolti proprio da Sistema moda Italia e nei quali si legge come nei primi nove mesi del 2024 la dinamica negativa del fatturato si è attestata attorno al -6,2% con ben il 61% delle aziende che teme una flessione dei propri ricavi rispetto allo stesso periodo del 2023 e con una previsione di ricorso agli ammortizzatori sociali che sale al 33% del totale. Infine, circa il 70% degli imprenditori interpellati vede la ripartenza rimandata solo al prossimo anno.

I distretti in sofferenza

Per quello che riguarda i territori, sicuramente l’area che in questi mesi sta soffrendo maggiormente è quella del distretto toscano della pelle, ma non solo. Anche la lana di Biella, la seta di Como, il tessile leggero pugliese e le calzature campane e marchigiane. Claudio Rovere è presidente di HModa, un progetto industriale promosso da Hind spa che punta ad investire nel capitale delle Pmi e a metterle in rete. L’azienda opera attraverso 18 società partecipate nei vari settori del comparto e lavora con i più importanti brand del lusso. «Pensavo che questo periodo di rallentamento durasse meno di quello che invece è stato. Dunque, questo mi fa essere molto prudente sul prevedere quando si tornerà a crescere. Penso però che questo succederà perché nel mondo il numero di chi può permettersi di spendere cifre importanti per vestirsi continua inesorabilmente a crescere. Certo, impossibile pensare a un aumento a due cifre come negli anni scorsi, ma il segno più tornerà».

Fonte: Il Sole 24 Ore