Ghana, l’ex presidente Mahama vince le elezioni e punta a riforme radicali
I primi risultati erano attesi il 9 novembre. Non c’è stato bisogno di attendere. Mahamudu Buwiani, candidato del partito di governo ghanese New patriotic party, ha già ammesso la sua sconfitta nel voto del 7 dicembre e la vittoria di John Mahama: già presidente del Ghana fino al 2017 e ora volto della nuova compagna elettorale del suo storico partito, il National democratic congress. Mahama ha comunicato in un post su X di aver già ricevuto una telefonata da Buwiami, il riconoscimento ulteriore di un successo già previsto ma arrivato con tempi e volumi che in pochi avevano pronosticato.
Secondo i primi spogli Mahama si è aggiudicato oltre il 51% dei consensi, anche se non sono chiare le proiezioni delle parlamentari svolte in parallelo. L’Ndc dovrebbe aggiudicarsi la maggioranza dei 275 seggi in palio all’assemblea nazionale per governare in autonomia e attuare l’agenda di riforme radicali annunciata da Mahama. In caso contrario scatteranno le trattative per una coalizione a suo sostegno, pescando fra le altre 10 liste in corsa oltre a Npp e Ndc.
Il «reset» dell’economia ghanese
Per Mahama, 66 anni, si tratta di un ritorno a Jubilee Palace, il palazzo di Accra che ospita la presidenza. Il vincente delle elezioni del 2024 aveva già ricoperto la carica fino al 2017, salvo essere scalzato dal presidente in uscita del Npp Nana Akufo-Addo. Ora la sua vittoria «empatica» nelle urne del 7 dicembre gli permette, in teoria, di dare seguito agli annunci di riforme radicali che hanno costellato una campagna tutta calcata sulla crisi economica che attanaglia il Paese.
Il vecchio «astro nascente» della crescita africana e globale si ritrova in balìa di una crisi sempre più drastica fra inflazione, crollo della valuta e una disoccupazione che scatena nervosismo soprattutto fra i giovani nella fascia 18-35 anni: un blocco che rappresenta quasi il 40% di una popolazione da 33 milioni.
Fra i programmi più sostanziali di Mahama ci sono la revisione dell’accordo da 3 miliardi di dollari siglato con il Fondo monetario internazionale e la creazione di «milioni di posti di lavoro», soprattutto nelle aree del Paese più povere ed esposte ai rischi di tensione. È il caso del nord, lambito da infiltrazioni jihadiste che provengono dal Sahel e possono propagarsi sull’onda dell’insoddisfazione per la classe politica.
Fonte: Il Sole 24 Ore