Gli accordi con le multinazionali sostengono la filiera agricola del tabacco

Gli accordi con le multinazionali sostengono la filiera agricola del tabacco

L’ultimo investimento in ordine di tempo è stato quello confermato da British American Tobacco: 20 milioni – che portano a oltre 200 il totale negli ultimi dieci anni, a cui si aggiungono i 500 di Philip Morris nel 2019-23 – per l’acquisto di tabacco prodotto e lavorato in Italia.

Le multinazionali stanno salvando una filiera leader in Europa (l’Italia da sola produce il 30% del totale Ue e il 5% di quello mondiale) ma rimasta orfana proprio degli incentivi europei. Fino a qualche anno fa questa coltivazione era in assoluto la più sussidiata dalla vecchia Politica agricola comune, con gli importi ad ettaro più elevati.

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Un pagamento di cui beneficiava tutto l’indotto, in quanto legato ai conferimenti all’industria di prima trasformazione. Ma che ha pagato dazio su due fronti: quello della lotta al fumo, che ha finito per scoraggiare indirettamente una produzione importante sotto il profilo agronomico e della sostenibilità, e lo smantellamento progressivo degli aiuti europei legati alle singole coltivazioni, con la Pac sempre più orientata al livellamento dei premi per superficie.

Oggi il tabacco in Italia interessa poco meno di 2.500 aziende, concentrate in quattro regioni – Umbria, Toscana, Veneto e Campania – dove la coltivazione rappresenta ancora una parte importante dell’economia locale, e anche dell’eccellenza tecnologica dell’agricoltura: basti pensare che le aziende tabacchicole sono quelle con il parco macchine più moderno, nell’ambito della generale emergenza svecchiamento dei trattori nei campi italiani, oggetto di intervento anche del Recovery Plan targato Draghi. Queste aziende danno lavoro a 50mila addetti, delle quali oltre la metà sono donne, in zone spesso difficili e senza alternative produttive e occupazionali.

Negli ultimi dieci anni il settore ha perso oltre il 20% dei volumi, ridotti a circa 60mila tonnellate annue, mentre continua il ridimensionamento del mercato finale, quello delle sigarette, ha tagliato significativamente le quantità richieste dalle manifatture. La filiera, costretta a dimagrire per sopravvivere, si è profondamente ristrutturata: le associazioni di produttori sono passate da oltre 20 a nove (delle quali tre concentrano oltre il 90% della produzione), è aumentata sensibilmente la capacità di trasformazione del tabacco dei singoli impianti anche attraverso la digitalizzazione dei distretti produttivi.

Fonte: Il Sole 24 Ore