Gli NFT in cima alla lista di ArtReview
Da 20 anni la rivista d’arte inglese ArtReview stila una classifica annuale dei gatekeeper dell’arte, coloro che decidono i trend e influenzano i valori dell’arte. Fino al 2020 in cima alla lista c’erano personaggi potenti come il gallerista David Zwirner o il direttore del MoMA Glenn D. Lowry. Poi è arrivato il Covid a rivoluzionare il nostro mondo e anche ArtReview ha spostato l’attenzione da coloro che muovono la circolazione delle opere alla circolazione delle idee stesse, e così l’anno scorso in cima all’elenco è arrivato il movimento Black Lives Matter . Ora al top della lista degli “influenti” del 2021 ci sono loro, gli NFT, i Token Non Fungibili che da marzo 2021, con la vendita di “Everydays: The First 5,000 Days” di Beeple da Christie’s a 69 milioni di dollari, hanno sdoganato l’arte digitale nel mercato dell’arte tradizionale.
La forza del digitale
L’opera d’arte si è dematerializzata, o meglio, gli NFT sono riusciti a certificare e rendere unica l’arte digitale, per cui tutti, dagli artisti alle gallerie alle case d’aste, hanno iniziato una corsa all’oro per entrare in questo mercato, che in realtà esiste da tempo. Per i millennial non è una novità acquistare “oggetti virtuali” che esistono, per esempio, solo all’interno dei videogame (secondo una stima riportata da ArtReview, il mercato globale delle microtransazioni online nel 2020 ha avuto un valore pari a 33 miliardi di dollari), e per i giovani creativi gli NFT rappresentano un modo per monetizzare. La differenza ora è che anche il mercato dell’arte si è accorto di questo mondo e sono iniziati cross-over tra una realtà e l’altra.
L’uomo e l’ambiente
Al secondo posto della classifica c’è un nome non per forza associato al mondo dell’arte: Anna L. Tsing, antropologa americana nota per il libro “Il fungo alla fine del mondo. La possibilità di vivere nelle rovine del capitalismo”, sul rapporto tra esseri umani e ambiente naturale. Oltre ad affrontare una questione urgente per l’umanità, Tsing ha fondato una piattaforma chiamata “Feral Atlas”, dedicata a progetti scientifici ed artistici che indagano l’Antropocene. Già dall’anno scorso, come dicevamo, la lista di ArtReview ha lasciato sempre più spazio ai pensatori che trattano tematiche attuali a scapito di galleristi e direttori museali, grandi e potenti gatekeeper del sistema dell’arte. Soprattutto i musei di oggi sembrano reagire troppo lentamente agli stimoli del nostro tempo, secondo ArtReview, rallentati dalla burocrazia, inceppati nei propri meccanismi interni e, ora, messi alle strette anche economicamente dai lockdown pandemici.
L’unione fa la forza
Al terzo posto della lista c’è il collettivo che l’anno prossimo a giugno curerà la 15ª documenta a Kassel, gli indonesiani ruangrupa. E non sono gli unici collettivi della lista, un altro trend che si è affermato l’anno scorso. Tra le prime 12 posizioni, per esempio, c’è quello degli indigeni australiani Karrabing Film Collective e al 19° posto c’è Forensic Architecture.
Al quarto posto troviamo l’artista di Chicago Theaster Gates con il suo continuo impegno sociale, seguito da Anne Imhof, una new entry con i suoi tableaux vivants dal sapore dark che l’hanno portata dal Leone d’Oro alla Biennale del 2017 al Palais de Tokyo al Castello di Rivoli alla collaborazione con Burberry.
Fonte: Il Sole 24 Ore