
Gnl, la Cina sfida gli Usa: importazioni azzerate
L’export di Gnl Usa si dirige già per circa metà verso l’Europa, tendenza che si è instaurata negli ultimi tre anni, in parallelo alla perdita di forniture via gasdotto dalla Russia. La Cina viceversa non ha una forte dipendenza da Washington per il gas, né d’altra parte è vero il contrario: l’anno scorso Pechino ha ricevuto dagli Usa appena il 6% delle sue forniture di Gnl, l’equivalente di circa 6 miliardi di metri cubi di gas, per un valore di 2,4 miliardi di dollari, ricorda un recente rapporto del Center on Global Energy Policy (Cgep) della Columbia University. E gli Usa hanno inviato appena il 5% dell’export di Gnl in Cina (anche se questa è la quota maggiore in assoluto per un singolo Paese).
Il Dragone aveva già utilizzato il Gnl per ritorsioni contro gli Usa, durante il primo mandato di Trump: all’epoca i dazi cinesi salirono da un iniziale 10% fino al 25% nel 2019 e le importazioni vennero azzerate per un lunghissimo periodo, da marzo 2019 ad aprile 2020. Oggi il potere della Cina di influenzare il mercato è ancora più forte, grazie al grande numero di contratti di fornitura pluriennali che ha siglato con produttori Usa – soprattutto nel periodo tra il 2021 e il 2023 – e a quelli che potrebbe (o meno) firmare nel futuro: se decidesse di non farlo potrebbe infliggere un colpo potenzialmente mortale ai progetti di nuovi terminal di esportazione, che hanno bisogno di trovare “clienti” per ottenere finanziamenti dalle banche.
Proprio martedì 18 – con un gesto di nuovo altamente simbolico – una società cinese, China Resources Gas International, ha firmato un contratto di fornitura di Gnl con Woodside Energy Resources, il primo da molti anni con una società australiana. Il contratto prevede l’acquisto di 600mila tonnellate l’anno per 15 anni a partire dal 2027.
Nel frattempo gli Usa hanno intensificato le attività di promozione del proprio Gnl. Ma «scatenare l’energia americana», come si propone uno dei tanti ordini esecutivi firmati da Trump, non si sta rivelando facile. I costi sono in salita, spinti da tassi d’interesse ancora troppo elevati, carenze di personale e rincari di materiali e attrezzature, denunciano gli analisti di Poten and Partners, prevedendo tariffe di liquefazione oltre 2,50 $/mmBtu.
Molti produttori, riporta Reuters, starebbero cercando di rivedere le condizioni di vendita con i clienti in risposta all’aumento dei costi. E anche la parabola di Venture Capital in Borsa è un spia di quanto le cose potrebbero mettersi male per il settore: dopo un’Ipo deludente, la società è crollata ulteriormente a Wall Street perdendo oltre un terzo del valore in un solo giorno il 7 marzo, quando ha comunicato un forte calo dell’export e un aumento a sorpresa da 1,3 miliardi di dollari del costo di realizzazione del nuovo impianto Plaquemines Lng.
Fonte: Il Sole 24 Ore