Google all’attacco di Microsoft: su Azure strategia monopolistica

Un vero e proprio guanto di sfida, lanciato in via ufficiale sul tavolo della Commissione Europea: Google Cloud ha annunciato infatti la presentazione di un reclamo agli organi competenti di Bruxelles in merito alle pratiche anticoncorrenziali che Microsoft avrebbe tenuto (il condizionale, al momento, rimane d’obbligo) per convincere le aziende della Ue che utilizzano alcuni suoi prodotti software ad utilizzare la piattaforma Azure. Una mossa forte, articolata su precise motivazioni relative alle modalità con le quali la società di Redmond costringerebbe i propri clienti di classe enterprise, vale a dire grandi imprese ed enti governativi che si avvalgono di soluzioni imprescindibili per far funzionare la propria architettura It come Windows Server o Sql Server, a migrare al cloud computing rimanendo all’interno dell’ecosistema di Microsoft. L’affondo, illustrato alla stampa internazionale da Amit Zavery, VP/General Manager and Head of Platform per Google Cloud, e reso pubblico in un blog post recante anche la firma di Tara Brady, la Presidente di Google Cloud a livello EMEA, è più che esplicito e si articola su tre livelli di accusa principali: la violazione delle norme di diritto dell’Unione Europea, l’aumento dei costi per le aziende “blindate” da Microsoft e i rischi legati alla sicurezza informatica e alla perdita di capacità di innovazione.

La politica “chiusa” di Microsoft

Il reclamo depositato da Google va sostanzialmente nella direzione di rivendicare i vantaggi legati alla libera migrazione al cloud in termini di maggiore efficienza e di un accesso più democratico e rapido ai servizi informatici. Da qui l’accusa indirizzata a Microsoft di perpetuare pratiche di licenza di tipo “legacy” che vincolano i clienti a un singolo fornitore e rischiano, come diretta conseguenza, di compromettere il pieno sfruttamento delle potenzialità di questa tecnologia. Nella lunga memoria preparata dal colosso di Mountain View si fa riferimento ai comportamenti tenuti dalla rivale in passato nell’ambito dei software di produttività (e il riferimento va alla piattaforma di collaborazione Teams) e ora, dicono da Google, la stessa strategia è stata messa in atto per spingere forzatamente le aziende verso Azure. Una delle chiavi della mozione, in particolare, riguarda Windows Server, un prodotto software (installato con licenza on premise nei sistemi informatici) definito “irrinunciabile” per le aziende e, citando una dichiarazione dell’Autorità per la Concorrenza e il Mercato del Regno Unito, capace di un “significativo potere di mercato”. Quello che è a tutti gli effetti un componente fondamentale dello stack IT di molte organizzazioni, a detta di Google, viene usato da Microsoft come grimaldello per esortare le stesse organizzazioni a passare ad Azure per eseguire nel cloud il software e le sue applicazioni. E se fino al al 2019, la migrazione di un prodotto Microsoft on premise verso qualsiasi cloud provider era di fatto libera da vincoli, oggi questa scelta comporta forti penalizzazioni. Nello specifico, come ha ribadito anche Zavery,

i termini di licenza di Microsoft impediscono di fatto alle aziende europee di portare i rispettivi workload (i carichi di lavoro delle applicazioni) nella nuvola di piattaforme concorrenti ((AWS, Google Cloud Platform e Alibaba Cloud) nonostante non vi siano ostacoli tecnici per questo passaggio oppure impongono esorbitanti rincari per la migrazione, visto e considerato che per spostare le licenze di Windows Server on-premise fuori dalla galassia Microsoft gli oneri crescerebbero del 400%. L’impatto di questo circolo vizioso di extra costi e penali per le aziende europee, in soldoni, è quantificato in un miliardo di euro all’anno e produrrebbe, secondo quanto recita il reclamo, a rischi concreti di spreco di denaro pubblico, riduzione della concorrenza, limitazioni per i partner di canale e maggiori rischi legati alla protezione dei dati.

Licenze eque ed aperte

Google, insomma, è convinta che Microsoft eserciti a proprio beneficio una posizione dominante nei software enterprise e, stando ai suoi portavoce, non ha risposto all’invito di avviare un dialogo con Mountain View sul tema della concessione di licenze cloud eque e aperte, decidendo per contro di stringere accordi una tantum con alcune delle aziende che hanno sollevato preoccupazioni sulla questione. Da qui la scelta di bussare in modo autonomo E? Google si è mossa in modo autonomo alla porta della Commissione Europea – “prima che sia troppo tardi”, ha sottolineato Zavery, ribadendo che l’azione legale appena intrapresa non sia stata concordata con altri vendor, a cominciare da Amazon Web Services – e di sensibilizzare la comunità tech e l’opinione pubblica sulla necessità di un intervento degli organi regolator. Il cloud, sostengono i vertici di BigG, deve essere un mercato aperto e solo così può costituire una tecnologia foriera di sviluppo e innovazione e le licenze d’uso di questa tecnologia devono essere eque e trasparenti per i clienti. Il sasso è stato quindi lanciato e la palla è ora nelle mani della Commissione Europea. Cosa rappresenti negli equilibri della lotta per la supremazia nel cloud è ancora tutto da capire, di certo è un segno che fra le due grandi rivali il livello dello scontro, già molto importante sul fronte dell’intelligenza artificiale, si apre a un nuovo capitolo.

Fonte: Il Sole 24 Ore