Grandi ospedali, ecco i top 20:
C’è una “spina dorsale” di grandi ospedali che garantiscono le cure più complesse attirando pazienti da tutta Italia. Un fenomeno fisiologico in un Paese come il nostro dove ancora resistono in grande numero tanti, troppi, piccoli ospedali: quelli con meno di 120 posti letto sono ancora oltre 150 e quelli fino a 400 letti circa 200. Quello che però resta “patologico” è la distribuzione di questi maxi poli di eccellenza della nostra Sanità – tra pubblico e privato convenzionato – che sono distribuiti in modo sproporzionato concentrandosi soprattutto al Centro Nord. Un fatto che incentiva i cosiddetti “viaggi della speranza”, lo spostamento cioè di centinaia di migliaia di pazienti che ogni anno si muovono soprattutto dal Sud al Nord in cerca delle cure specialistiche di cui hanno bisogno.
La conferma di questo sbilanciamento arriva dalla mappa dei maxi poli messa a punto dai tecnici del ministero della Salute e dal suo Dg della Programmazione Americo Cicchetti (in basso l’intervista) utilizzando gli ultimi dati delle Sdo, le schede di dimissioni ospedaliere appena pubblicate. Dati con cui è stata stilata una top 20 dei grandi ospedali – non una “classifica” delle migliori performance ci tengono a precisare dal ministero – che emerge dopo aver selezionato gli ospedali con maggior numero di dimissioni ospedaliere (l’11%di tutta la casisistica per ricovero ordinario e day hospital) a cui viene poi assegnato un punteggio frutto di un mix di due indicatori: il peso medio della casistica dei Drg (la complessità dei casi trattati) e l’attrattività dei pazienti in arrivo da altre regioni (la mobilità). Questa mappa vede ben 5 ospedali della Lombardia (10 milioni di abitanti) in questo elenco di 20 grandi nosocomi top di cui tre concentrati a Milano a occupare le prime posizioni per “score” più alto – Il Galeazzi, l’Humanitas di Rozzano (nell’hinterland milanese) e l’Irccs San Raffaele – e soltanto due strutture per tutto il Sud Italia (per quasi 20 milioni di abitanti) e cioè l’ospedale Casa sollievo della sofferenza di San Giovanni Rotondo (Puglia) e l’azienda ospedaliera Monaldi di Napoli. Da segnalare nella top 20 anche tre ospedali in Toscana – azienda ospedaliera pisana, quella senese e il Careggi di Firenze- e altri tre del Veneto (l’azienda ospedaliera universitaria di Verona, quella di Padova e l’ospedale Sacro cuore Don Calabria di Negrar) e infine tre a Roma e cioè il Gemelli, il Campus Biomedico e il San Camillo Forlanini. Ma il dato eclatante è che se si aggiungono anche il Mauriziano di Torino e il San Martino di Genova ecco che la metà dei grandi ospedali della top 20 è tutta al Nord, mentre 8 sono al Centro (ai tre toscani e tre di Roma si aggiungono il Sant’Orsola di Bologna e gli ospedali riuniti di Ancona) e solo due appunto al Sud.
Il report appena pubblicato dal ministero della Salute sulle dimissioni ospedaliere innanzitutto segnala come le attività di ricovero siano riprese dopo il calo durante il Covid quando si erano registrati 6,817 milioni di dimissioni ospedaliere risalite nel 2022 a 7,646 milioni per poi sfiorare gli 8 milioni nel 2023 secondo i dati preliminari (7,957 milioni). Tornando al tema della mobilità dei pazienti in cerca di cure migliori emerge sempre dal report che ben l’8,3% dei ricoveri è stato effettuato in una regione diversa da quella di residenza del paziente; la quota è tornata ai livelli del 2019, dopo essere scesa a 7,2% nel 2020, con una lieve ripresa nel 2021 (7,8%). Si tratta di ben 441mila ricoveri fuori Regione (considerando solo quelli per acuti): si va così dal 30,4% per il Molise, il 28,4% per la Basilicata e il 21,2% della Calabria al 5% della Lombardia, al 5,4% dell’Emilia e al 6,2% del Veneto. «Ciò purtroppo dimostra che ancora troppi cittadini prevalentemente del Sud Italia devono muoversi per avere le migliori cure e ad affrontare costi notevoli sia economici che psicologici», avverte amaramente il ministro della Salute Orazio Schillaci.
Fonte: Il Sole 24 Ore