Grano italiano, raccolto a -10% ma i prezzi non risalgono
La ripresa può attendere. Nonostante un raccolto ai minimi storici i prezzi del grano duro, dopo aver perso oltre il 10% del loro valore da inizio anno, restano inchiodati nelle Borse merci nazionali intorno ai 330 euro a tonnellata per le varietà più pregiate, mentre si pagano 100 euro di meno per la nuova categoria del “sotto mercantile”, introdotta lo scorso anno per permettere la commercializzazione di una quota del raccolto rovinata dal maltempo. E senza prospettive di miglioramento a breve termine, a meno di cambiamenti inattesi dello scenario produttivo mondiale che si annuncia invece in forte ripresa nel 2024 (a differenza del grano tenero ai massimi da 10 mesi per il deficit d’offerta), come hanno confermato gli analisti di Areté e dell’Igc (l’International Grains Council) che hanno tracciato nei giorni scorsi le prospettive della nuova campagna in occasione dei Durum Days di Foggia. Nemmeno l’imposizione dei nuovi dazi Ue sull’import da Russia e Bielorussia avrà effetti sul mercato interno visto che già da gennaio a maggio scorso Mosca, dopo il consistente aumento del 2023, aveva messo il bando sulle esportazioni di grano duro.
A livello nazionale, secondo le indicazioni del Crea, la produzione dovrebbe crollare quest’anno del 10% a 3,4 milioni di tonnellate, meno del 60% del fabbisogno dell’industria molitoria che trasforma il grano duro nelle semole necessarie ai pastifici per una produzione che rappresenta il fiore all’occhiello del Made in Italy agroalimentare con una vocazione all’export dove è destinato il 60% circa delle confezioni di pasta. La riduzione del 10% stimata alla vigilia della trebbiatura, che arriva dopo una campagna 2023 già al ribasso e soprattutto ampiamente compromessa in termini di qualità, è una media che nasconde il tracollo dei raccolti nel Granaio d’Italia.
Lungo il Tavoliere delle Puglie, dove lo scorso inverno si è seminato in ritardo per mancanza d’acqua, nelle zone collinari dove si è invece piantato in anticipo le spighe non sono proprio cresciute o sono bruciate, come spiega il presidente di Confcooperative Fedagripesca Puglia Giorgio Mercuri, che gestisce una grande cooperativa in zona. Anche nelle aree vicine al mare la produzione appare compromessa: «Paradossalmente si è salvato proprio chi ha seminato in ritardo e raccoglierà più tardi, con una qualità ottima». In Sicilia, dove gli agricoltori della Coldiretti hanno manifestato questa settimana per chiedere aiuti immediati contro la siccità, la situazione è drammatica.
Ma gli effetti della crisi climatica si sono fatti sentire anche al Nord. In Emilia Romagna temporali, raffiche di vento e grandinate hanno sferzato il grano nella fase più delicata in cui si determinano, spiega Confagricoltura, peso e caratteristiche qualitative causando l’allettamento della spiga sul 50% della superficie regionale dedicata a questa coltivazione.
Dall’industria molitoria, anello di congiunzione della filiera che acquista il grano dai produttori e lo rivende ai pastifici, è arrivato un messaggio conciliante rivolto agli agricoltori che quest’anno hanno alzato il tono della protesta, tra aumento dei costi e prezzi stagnanti. «Dobbiamo capire che la crescita dell’export di pasta è un fattore di successo trainante per tutta la filiera – ha detto il presidente dei molini a grano duro di Italmopa, Enzo Martinelli –. Se non soddisfiamo il fabbisogno dei pastifici anche attraverso le importazioni qualcun altro prenderà le quote di mercato conquistate dall’Italia. Inoltre – ha ricordato – l’origine non è sinonimo di qualità».
Fonte: Il Sole 24 Ore