Gravidanza, aumentano i casi di conservazione egli ovociti

Gravidanza, aumentano i casi di conservazione egli ovociti

Una persona su sei nel mondo non è fertile. La percentuale emerge dal report dell’Organizzazione mondiale della sanità condotto tra il 1990 e il 2021. La maggior parte dei dati analizzati considera tuttavia esclusivamente l’infertilità delle donne. Sono pochi quelli che esaminano uomini o le coppie nel loro insieme.

Tra le cause più ricorrenti gli esperti concordano sull’influenza di nuovi stili di vita, inquinamento ambientale e aumento dell’età del progetto genitoriale. In questo contesto, la possibilità di differire nel tempo la maternità era già stata garantita dalla contraccezione, che ha permesso alle donne di esercitare una maggiore autonomia rispetto alle proprie scelte riproduttive, tracciando cambiamenti profondi sul piano socioculturale nell’affermazione dei diritti civili e nella riduzione delle diseguaglianze di genere. Ma esistono anche metodi per preservare in modo programmato la propria capacità riproduttiva, andando oltre la perdita incidentale o naturale della fertilità.

La crioconservazione degli ovociti

La crioconservazione degli ovociti è una delle frontiere più recenti tra le tecniche di procreazione medicalmente assistita (Pma) e permette alle donne di conservare i propri ovociti se una patologia, o il fisiologico declino della fertilità, dovesse condizionare il concepimento di un figlio.

Eppure, anche se la prima gravidanza da un ovocita congelato risale al 1986, solo negli ultimi anni l’uso di questa tecnica ha cominciato a diffondersi. E i motivi principali sono due. Il primo è stato lo sviluppo della “vitrificazione”, un metodo ultrarapido di congelamento che ha migliorato il successo della Pma, diminuendo il numero di ovociti necessari per avere una buona probabilità di procreazione. La seconda ragione sta nella diffusione degli studi scientifici in merito alla sicurezza, al rischio e all’efficacia di queste tecniche.

Tra Stati Uniti ed Europa

Nel 2012 l’American Society for Reproductive Medicine (Asrm) ha dichiarato che, in base alle evidenze disponibili, la criopreservazione degli ovociti non andava più considerata una “tecnica sperimentale”. La raccomandazione allora era di limitare l’uso solo alle donne che stavano per sottoporsi a terapie mediche che avrebbero potuto comprometterne la fertilità, come la chemioterapia o la radioterapia per la cura dei tumori. Nel 2014 la Asrm ha però rivisto questa sua posizione alla luce di ulteriori studi, arrivando a definire la criopreservazione degli ovociti come una tecnica standard «al servizio di tutte le donne che vogliono provare a proteggersi da una futura infertilità a causa dell’invecchiamento riproduttivo o di altre cause». Secondo uno studio, tra il 2019 e il 2021, solo negli Stati Uniti il ricorso a questa tecnica è aumentato del 39%.

Fonte: Il Sole 24 Ore