Greta e i giovani: «Cop26 un fallimento, è il festival del greenwashing»
Fuori dallo Scottish event campus di Glasgow: sotto i colori di Fridays For Future, migliaia di manifestanti marciano contro le «parole vuote» dei leader mondiali. Dentro al centro congressi della Cop26: migliaia di negoziatori di circa 200 Paesi studiano dossier e si scambiano note, in vista della seconda e decisiva settimana della Conferenza Onu sul clima.
La giornata dei giovani
Il 5 novembre è stata la giornata dei giovani, delle generazioni che vivranno le conseguenze della battaglia contro il climate change, che sarà influenzata proprio dai risultati dei negoziati in corso fino al 12 novembre. Ispirati dalla svedese Greta Thunberg e dalla ugandese Vanessa Nakate, 10mila ragazzi, e non, hanno riempito George Square, al termine della prima settimana di lavori, che ha prodotto la sfilata di rito dei leader mondiali, qualche annuncio importante (come la neutralità climatica dell’India e l’accordo per tagliare le emissioni di metano), ha rispolverato vecchi impegni (per esempio sulla deforestazione), e ha fatto nuove promesse talmente grandi da apparire esagerate. Come i 130mila miliardi di dollari di asset messi al servizio della neutralità climatica dalla Glasgow Financial Alliance for Net Zero.
Festival del greenwashing
Senza appello la condanna di Thunberg: «È chiaro a tutti che la CoP26 è un fallimento, un festival del greenwashing per i Paesi ricchi», ha detto dal palco di George Square, accusando i leader di usare «cavilli e statistiche incomplete» per salvaguardare «il business e lo status quo», il tutto mascherato dal solito «bla, bla, bla». Sabato 6 novembre si replica e in grande. La polizia prevede fino a 100mila manifestanti a Glasgow.
La promessa dei 100 miliardi
I Paesi ricchi provano intanto a recuperare parte del ritardo accumulato su una promessa molto più modesta, quella di mobilitare 100 miliardi di dollari all’anno a favore dei Paesi in via di sviluppo, messi in crisi dalla sfida dell’adattamento agli effetti devastanti del cambiamento climatico. Ci si doveva arrivare nel 2020. Secondo un report Ocse del 25 ottobre, sarà possibile solo nel 2023. Il 5 novembre, l’incaricato speciale della Casa Bianca per il clima, John Kerry, ha affermato che quota cento potrà essere tagliata nel 2022. L’annuncio del Giappone di portare a due miliardi all’anno il suo contributo, ha detto Kerry, sbloccherà altri otto miliardi del settore privato. «Ciò significa che per il 2022 ora abbiamo tutti i 100 miliardi di dollari che volevamo e 100 miliardi in futuro, quindi eliminiamo questo problema dal tavolo, e questo cambia le dinamiche», ha affermato Kerry.
Settimana decisiva
Dall’8 novembre parte la seconda e decisiva settimana di Glasgow, con i negoziatori al lavoro per stringere sui punti chiave della Conferenza: piani concreti per limitare l’aumento delle temperature globali a 1,5 gradi a fine secolo, con la consapevolezza che non si potrà convincere tutti ad azzerare le emissioni nette di CO2 entro il 2050; l’uscita, il prima possibile, dal carbone, sapendo che la Cina (e non solo) ne ha maledettamente bisogno; il sostegno ai Paesi più fragili, che costa molto più dei 100 miliardi promessi; la mobilitazione della finanza, con impegni che vadano oltre gli slogan.
Fonte: Il Sole 24 Ore