I big data in aiuto al mare con mitili-robot e analisi sonore

Sulle tracce del vermocane, uno degli incubi più recenti per il Mediterraneo. Questo verme marino predilige le temperature calde ed è un indicatore del cambiamento climatico in atto. Molto vorace, si nutre di coralli, gorgonie e stelle marine mettendo a rischio la biodiversità dei nostri mari. Grazie a fotocamere subacquee e all’internet of things (IoT) è possibile studiarne il comportamento da predatore per poi trasmettere i big data agli scienziati che li analizzeranno. È uno dei progetti messi in campo dal Nbfc, il Centro nazionale per la biodiversità con sede a Palermo e coordinato dal Cnr. Avviato nel settembre 2022 e finanziato dal Pnrr con una dotazione complessiva di 320 milioni, ha come missione il monitoraggio, la conservazione, il ripristino e la valorizzazione della biodiversità italiana e mediterranea. «Ai pescatori dico chiaramente che la capacità di ottenere qualcosa dal loro bancomat dipende dallo stato di salute dell’ecosistema marino su cui però loro possono incidere, e non poco», nota Gianluca Sarà, docente di ecologia all’Università di Palermo e alla guida, insieme a Simonetta Fraschetti, dello spoke 1 del Centro focalizzato proprio sulla biodiversità marina. Questo perché, aggiunge, «ormai è acclarato: più della metà del Pil mondiale è direttamente o indirettamente supportato dalla biodiversità. La sua tutela non è il problema ma la soluzione per garantire il benessere umano». In Italia sono presenti 394 habitat marini di cui ben 267 di elevato valore conservazionistico, la cui presenza è ritenuta prioritaria. E in Europa un terzo di quelli soggetti a degrado si trovano proprio nel Mediterraneo. Sono numeri che rendono bene il senso dell’urgenza: entro il 2030, secondo il nuovo regolamento Ue (Nature restoration law) bisognerà ripristinare almeno il 20% delle aree marine.

«La prima difficoltà, ma anche il punto di partenza per preservare la biodiversità degli ecosistemi – afferma Sarà – è la misurazione: servono dati su larga scala e in tempo reale. Qui l’intelligenza artificiale sta rivoluzionando la scienza della conservazione, perché offre strumenti innovativi per il monitoraggio e la protezione delle specie in via di estinzione, ma anche di quelle che mettono in pericolo l’equilibrio dell’ecosistema, come appunto il vermocane». A differenza dei metodi tradizionali, che possono essere invasivi, costosi e richiedere molto tempo, afferma Sarà «l’Ia è in grado di analizzare rapidamente ed efficacemente grandi quantità di dati provenienti dal mondo reale ottenendo una maggiore protezione a parità di budget». Il Nbfc sta attingendo a piene mani a queste tecnologie che consentono di raccogliere e analizzare i dati, di rilevare potenziali minacce in tempo reale e supportare le decisioni strategiche con una commistione di saperi tra scienziati, ingegneri, informatici e matematici.

Tra i nuovi protagonisti ci sono molluschi e patelle robot. All’interno dei loro gusci ospitano sensori che rilevano costantemente la temperatura corporea che rispecchia quella esterna. Due specie scelte non a caso: vivono a cicli di sei ore in acqua e sei fuori e questo li rende particolarmente utili per la ricerca sul clima e per misurare l’impatto delle attività umane sull’ecosistema marino. Non solo. Il centro sta anche implementando algoritmi per migliorare l’identificazione automatica di specie di pesci, squali e invertebrati marini attraverso tecniche di Ia di ausilio alla computer vision e allo sviluppo di modelli deep learning. Altri progetti riguardano l’uso dell’Ia per identificare le specie animali dalle registrazioni audio dei loro suoni, consentendo di quantificare la biodiversità in modo non invasivo. Anche le miriadi di immagini dei social media, adeguatamente analizzate e classificate con l’ausilio dell’intelligenza artificiale, possono essere utilizzate per creare nuovi dataset.

«Siamo solo agli inizi- dice Sarà – ma il potenziale è enorme, anche per le imprese». A fine marzo si è chiuso un bando a cascata emesso dallo Spoke 1 del Nbfc con una dotazione complessiva di 2,2 milioni rivolto a pubbliche amministrazioni, Pmi e startup del Mezzogiorno per cofinanziare le spese per lo sviluppo di innovazioni tecnologiche e tecnologie abilitanti per la conservazione marina. Hanno vinto due cordate miste pubblico-privato coordinate dall’Università di Messina e dalla fondazione catanese Csfnsm (Centro siciliano di fisica nucleare e struttura della materia).

Fonte: Il Sole 24 Ore