I dieci anni di Mattarella e l’impegno che inizia ora

I dieci anni di Mattarella e l’impegno che inizia ora

Più che i giorni per un bilancio, forse, per Mattarella questi sono momenti di riflessione su ciò che lo aspetta. E, cioè, come si configurerà il suo mandato dopo 10 anni che sono stati – sì – intensi e con novità politiche anche di rottura, ma niente che abbia a che fare con questo momento storico. Insomma, quello che è stato sembra necessariamente superato dalla nuova pagina che si sta scrivendo pressoché ovunque nel mondo e che arriva a investire il ruolo del capo dello Stato per il modo in cui lo ha interpretato fin qui. Un attivismo regolato dalla Costituzione e soprattutto una testimonianza costante che quei valori, a distanza di quasi 80 anni, sono una chiave che continua ancora a girare e a orientarci.

Ecco, visto da questa prospettiva il cammino che iniziava nel 2015 non è paragonabile a giorni in cui quei principi costituenti di pace, uguaglianza, rispetto dei diritti umani, giustizia, democrazia e bilanciamento dei poteri, sono messi in discussione lungo traiettorie globali. In cui, anche da noi, si arriva ad affermare una sovranità che appartiene solo al popolo dimenticando che «la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione». Dunque, l’impegno nuovo parte da qui, dall’«amare la democrazia» come ha chiesto agli italiani senza retorica perché – evidentemente – i tempi presentano il tratto dell’indifferenza, della stanchezza. E si afferma, invece, l’adesione a un modello di forza più che di governo, come dimostra la figura vincente e popolare di Trump. Ma prima del presidente Usa, il terreno era già stato arato sul piano internazionale, dopo l’invasione della Russia in Ucraina, con l’approccio per cui il diritto vale meno della potenza. «Il ritorno a logiche di dominio ottocentesche che pensavamo di esserci lasciati alle spalle», questo passaggio di uno dei suoi discorsi è la traccia possibile di quella che sarà la sua agenda: un lavoro controcorrente.

Quindi, combattere innanzitutto quel richiamo, che si sente in tante latitudini, a un potere che si impone con la forza e funziona se è nelle mani di uno solo senza equilibri, suffragato dall’idea che la democrazia si esaurisca esclusivamente nel momento del voto. Idea tanto più debole e paradossale in una fase in cui l’astensionismo, perfino in Italia, arriva a superare la metà degli aventi diritti al voto. «Una democrazia di fantasmi», l’ha definita di recente. E allora sul suo mandato si può proiettare un impegno per evitare una deriva illiberale dopo che «nelle opinioni pubbliche si è insinuato il dubbio che il potere democratico sia debole, inefficiente o addirittura sia un fattore penalizzante», così diceva accostando questa insidia alla spinta propulsiva della nuova “ideologia” gestita da oligarchi della tecnica.

Un pericolo – va detto – che aveva visto prima dell’insediamento di Trump affiancato da Musk, Zuckerberg, Bezos. Ecco, l’altra grande svolta: la partnership tra gli over the top e chi rappresenta lo Stato. A cosa porta? Mattarella sembra averlo chiaro: «La tentazione di un progressivo svuotamento del potere pubblico. Fino ad intaccare la stessa idea di Stato per come l’abbiamo codificata e conosciuta nei secoli». Il riferimento è a funzioni vitali che ora sembra passino di mano: dallo spazio alla moneta, dalla difesa e sicurezza al fisco fino alla deregulation dei nuovi media, strumento usato per manipolare il consenso. Una commistione inedita soprattutto per la portata di questi pochi, grandi imprenditori «che dettano le loro condizioni ai mercati e – al di sopra dei confini, degli Stati e delle Organizzazioni internazionali – tendono a sottrarsi a qualsiasi regolamentazione, a cominciare dal fisco». Pure sulla moneta, quando Mattarella avvertiva della «costruzione di circuiti monetari paralleli, privati» non c’era ancora quella virtuale con la faccia di Trump.

«La tenuta delle istituzioni democratiche è l’unico argine agli usurpatori di sovranità»: ecco la promessa che guarda al futuro. Un futuro che vede il destino dell’Italia in un’Europa che – però – è sfuggita a tutti gli auspici di 10 anni fa. Oggi la disunione diventa rischiosa tra guerre militari e commerciali tra Usa e Cina. «Il tornante della storia che stiamo attraversando richiede la consapevolezza che gli Stati europei singolarmente non sono all’altezza delle sfide del presente». Parole di qualche settimana fa, quando spiegava che l’Europa è essenziale per la tenuta della democrazia. Dall’economia e dall’industria europea deriva il nostro welfare che dipende anche da una gestione comune di un’immigrazione regolata: a questo sono agganciati i nostri sistemi democratici. E allora più che un esame sul passato è l’impegno nuovo che darà l’impronta più forte a tutto il suo mandato.

Fonte: Il Sole 24 Ore