I marmi del Partenone tornano a casa
La notizia arriva dal quotidiano greco «Kathimerini»: la Grecia e il British Museum sono vicini a un accordo per la restituzione dei marmi del Partenone, conservati a Londra da duecento anni. A tornare in patria – scrive la stampa ellenica – saranno le parti «essenziali a completare la narrazione artistica e storica del Partenone», come i frammenti del fregio, dei frontoni e delle metope, mentre pezzi quali la Cariatide dell’Eretteo rimarranno probabilmente in Gran Bretagna. Per arrivare alla firma, mancano ancora alcuni dettagli relativi alla sistemazione permanente delle sculture, al loro trasferimento e al superamento di alcuni aspetti normativi, dato che una legge britannica del 1963 proibisce la rimozione permanente di opere dalle collezioni nazionali. Ma i diplomatici – riferisce sempre «Kathimerini» – sono «cautamente ottimisti sul fatto che, dopo decenni di contese, entrambe le parti possano allinearsi su una soluzione sostenibile e reciprocamente rispettosa».
L’arrivo a Londra dei marmi
Dal giorno dell’indipendenza dall’Impero ottomano, la Grecia rivendica la proprietà dei marmi, trafugati a inizio Ottocento da Thomas Bruce, VII conte di Elgin (1766-1841). Fra 1799 e 1803 il nobile scozzese era ambasciatore britannico presso il Sultano di Costantinopoli e, ottenuto dal Sultano un firman, cioè un decreto che gli dava il permesso di prelevare qualsiasi scultura o iscrizione, il cui asporto non mettesse a rischio le strutture dell’Acropoli, fa smontare decine di pezzi anche grazie all’aiuto del pittore italiano Giovanni Battista Lusieri (1755-1821) e fa partire le sculture di Fidia verso la Scozia. Ma il 7 settembre 1802, il brigantino Mentor con a bordo 17 casse provenienti dall’Acropoli naufraga nel Mar Egeo, davanti all’isola di Kythira (Marta Boneschi ha raccontato la storia nel suo Il naufragio del Mentor. I marmi del Partenone e la guerra per il dominio d’Europa, Luiss University Press, 2021). Le opere vengono recuperate fra mille difficoltà e raggiungono la Scozia, insieme con le altre 65 casse che arrivano nel 1804. I materiali restano nei depositi fino al 1816, quando il British Museum li acquista dal diplomatico scozzese ormai in bancarotta, a causa delle spese folli sostenute negli anni per i marmi greci.
La disputa diplomatica
Da allora, le posizioni sono state chiare: il museo britannico e il Regno Unito sostengono che le sculture sono state acquistate legalmente da lord Elgin, mentre la Grecia afferma che quelle opere, emblema della cultura ellenica ed europea, sono state saccheggiate illegalmente e vanno restituite. Governo greco dopo governo, di destra o di sinistra, ha bussato alla porta di Londra per chiedere la restituzione. E si può capire l’orgoglio di un popolo davanti alla bellezza eterna della Gigantomachia o della Centauromachia, ma va considerato anche il fatto che Londra, comunque, ha salvaguardato un patrimonio dell’umanità, ad esempio, negli anni drammatici in cui sull’Acropoli sventolava la bandiera con la svastica, e chissà che cosa sarebbe successo ai capolavori, già sopravvissuti al colpo di bombarda di Venezia nel 1687, in quel trambusto della storia. Ancor oggi, quelle sculture altrove sono una ferita aperta per ogni greco, sono uno dei pochi temi su cui tutti si trovano d’accordo. Sono come aveva detto l’attrice, cantante e poi ministro della Cultura Melina Mercouri (1920-1994), «il nostro orgoglio, le nostre aspirazioni e il nostro nome, l’essenza della grecità».
Fonte: Il Sole 24 Ore