I medici pronti a tornare sul piede di guerra
Tra 10 giorni, il prossimo 25 gennaio, tutti i camici bianchi, compresi i medici di famiglia finora rimasti un po’ di lato, si sono dati appuntamento per decidere come alzare l’asticella dello scontro con il Governo. Una nuova mobilitazione che non è detto che si concretizzi per forza in un nuovo sciopero, come quello del 20 novembre che comunque, va detto, non ha registrato grandi adesioni tra gli ospedalieri. “Vogliamo avere una vera interlocuzione con due soggetti: da una parte le istituzioni perché ad oggi dopo due anni di Governo non abbiamo ancora capito chi comanda e decide in Sanità visto che nonostante le tante convocazioni alla fine accade sempre il contrario di quello che ci dicono e dall’altra parte abbiamo bisogno di rivolgerci al cittadino magari anche con un linguaggio diverso perché ad oggi continuano a non rispettarci viste le continue aggressioni. Qualcosa insomma non va anche con loro”, sottolinea Pierino Di Silverio segretario di Anaao Assomed, la sigla degli ospedalieri.
Ma facciamo un passo indietro. Il peccato originale è l’ultima manovra di bilancio. Per i medici era un po’ come una ultima spiaggia, l’occasione migliore con cui il Governo poteva dare un segnale importante e rendere di nuovo attrattivo il lavoro negli ospedali per chi indossa il camice bianco, soprattutto dopo lo tsunami del Covid che ha accelerato ancora di più la fuga dal Servizio sanitario nazionale verso l’estero o nel privato. E invece la delusione ha prevalso: nella legge di bilancio oltre ad essere saltato il maxi piano di assunzioni a cui aveva lavorato il ministro della Salute Orazio Schillaci per il muro del ministero dell’Economia sono arrivati gli aumenti in busta paga, ma non quelli sperati: invece della detassazione al 15% dell’indennità di specificità (che si sarebbe tradotto in 200 euro netti in più al mese) come chiesta a gran voce dai medici sono arrivati degli aumenti secchi che per il 2025 si dovrebbero tradurre in 17 euro netti in più al mese quest’anno e poi 115 euro a regime dal 2026. Anche qui l’ipotesi di una flat tax per i medici si è scontrata con il niet del Mef. Da qui la protesta dei camici bianchi contro questi aumenti considerati delle “briciole”. “Manca poi – aggiunge Di Silverio – la depenalizzazione dell’atto medico che ci era stato assicurato, non c’è un serio investimento sui giovani e sulla Sanità territoriale che non parla con l’ospedale”. E proprio quest’ultimo punto – la Sanità territoriale dove il Pnrr investe oltre 7 miliardi per aprire anche Case e ospedali di comunità – rischia di aprire un nuovo fronte di scontro con il Governo: il ministro Schillaci d’accordo con le Regioni sta lavorando a una attesa riforma dei medici di famiglia con l’obiettivo di fondo di spostarne almeno una parte – in particolare i nuovi assunti – nelle Case di comunità che al momento stanno aprendo i battenti spesso sprovvisti o carenti di camici bianchi. La misura non è affatto popolare tra i medici di base che frenano già dai tempi del Governo Draghi su questa ipotesi, solo che ora il tempo stringe visto che manca meno di un anno e mezzo alla definitiva apertura delle nuove strutture sul territorio finanziate dal Pnrr.
Sulla sfondo c’è anche un inedito scontro tra il ministro e l’Ordine dei medici – che rinnova i suoi vertici a fine gennaio – con il suo attuale presidente Filippo Anelli che dopo essersi schierato apertamente a favore della mobilitazione ha chiesto un tavolo di confronto con Schillaci che però ha replicato piccato: “Io ho sempre incontrato i medici, li incontro quotidianamente, quindi non ho problemi a incontrare nè i sindacati dei medici nè il rappresentante della Federazione, però un conto è essere il presidente della Federazione e un conto è fare il sindacato. Quindi vediamo chi incontrare e perché”. Una presa di posizione condivisa da diverse sigle dei camici bianchi che ieri hanno ricordato come ognuno si deve assumere “i suoi compiti e le sue responsabilità, senza commistioni che confondono e indeboliscono i ruoli”.
Fonte: Il Sole 24 Ore