I piatti pronti di Gelit crescono negli Usa e studiano l’espansione in Asia
È un’azienda con una storica vocazione all’internazionalizzazione: destina all’estero l’80% della produzione. Ma dovrà rafforzare ulteriormente i presidi oltreconfine, a partire dagli Usa, e aprirsi varchi in Asia, dove oggi non è presente. È il piano di sviluppo disegnato per Gelit da Orange Capital Development, holding di investimento industriale con sede a Milano.
La società – che gestisce fondi lussemburghesi – ha infatti acquisito il 100% dell’azienda di Cisterna di Latina specializzata dal 1977, anno della fondazione, nel ready to eat, con una produzione di surgelati che spazia dai primi piatti alle crepes per arrivare ai semilavorati rivolti al canale horeca e alla ristorazione.
«Traguardi da raggiungere intervenendo sulla capacità produttiva, che deve essere aumentata – dice Davide Salvatore, fondatore e managing director di Orange Capital Development -. Questo intervenendo sia sull’attuale stabilimento, per ampliarlo, sia attraverso un nuovo insediamento. Gelit ha tra le proprie peculiarità una forte spinta verso l’innovazione di prodotto. Dovremo agire anche su questo, per esempio investendo sul mondo degli snack, dove è poco presente».
La holding lombarda è nata dieci anni fa facendo il proprio debutto nel mercato delle energie rinnovabili. Tre anni fa, la scelta di investire anche sul food, «dove a nostro parere – prosegue Salvatore – ci sono ancora grandi potenzialità inespresse. La nostra idea è quella di essere una piattaforma aperta a tutte le aziende che hanno un business model improntato alla sostenibilità, alla qualità del prodotto, all’innovazione e alla eccellenza operativa».
La sostenibilità è, in particolare, la chiave di volta degli investimenti della holding, che opera anche nel settore dei biocarburanti e delle nanotecnologie. Con l’acquisizione di Gelit, Orange Capital Development ha completato la quinta operazione nel settore alimentare, dove è già presente con la produzione di materie prime, il processing e il prodotto finito. Ora il piano di crescita, che esclude a priori delocalizzazioni produttive: «Non le abbiamo mai fatte – dice Salvatore -. Per noi non è una strategia innovativa».
Fonte: Il Sole 24 Ore