I summit con il “criptofonino” e le lezioni di mafia ai nuovi adepti

I summit con il “criptofonino” e le lezioni di mafia ai nuovi adepti

Si chiama No1Bc uno dei sistemi di telefonia criptata utilizzato dai boss di Cosa nostra palermitana per organizzare i summit. Un sistema facile da trovare, moderno, poco costoso se vogliamo per una organizzazione che, in questa fase, non ha certo problemi di liquidità. Degli altri sistemi utilizzati nulla si sa ma, in fondo, basta fare una ricerca sul web. Ed è uno dei sistemi che i boss di Cosa nostra hanno adottato per organizzare i summit: affidabile, sicuro, non intercettabile. «Utilizzavano dei normali telefonini a cui veniva installato un software criptato – ha spiegato Domenico La Padula comandante del nucleo investigativo del comando provinciale di Palermo -. Telefonini che venivano utilizzati tra i vari mandamenti per organizzare incontri ma anche tra il carcere e l’esterno». Un software che trasforma il telefono in un criptofonino già sperimentato dai naros e trafficanti vari: telefonino da far entrare facilmente in carcere per coinvolgere nei summit di mafia anche i detenuti. In fondo la definizione tecnica del criptofonino è questa: smartphone dotati di particolari sistemi di cifratura che li rendono potenzialmente inviolabili e a prova di intercettazione. E’ il volto della mafia moderna con competenze tecnologiche che emerge dall’operazione dei carabinieri a Palermo. I vecchi boss possono contare sui giovani che si avvicinano a Cosa nostra e portano in dote conoscenze e competenze che gli anziani esponenti di Cosa nostra non hanno.

«I capi di “cosa nostra” tendono a risolvere pacificamente le controversie che sorgono cercando di mantenere un profilo costantemente basso nel tentativo di non attirare le attenzioni delle forze di polizia – spiegano gli inquirenti -. Servendosi di apparati tecnologicamente avanzati quali i telefoni criptati, hanno creato delle community ristrette nelle quali i personaggi più influenti possono discutere degli affari criminali senza i rischi che comportano gli incontri in presenza». Ma c’è un altro aspetto inquitente, in questa vicenda: la possibilità di introdurre negli istituti penitenziari minuscoli apparecchi telefonici e migliaia di sim card al fine di neutralizzare le attività di intercettazione, circostanza che ha consentito ai detenuti, dalle loro celle, di continuare ininterrottamente la militanza mafiosa, seppure in videochiamata.

Ma nel contempo Cosa nostra si richiama alle regole dei padri fondatori, ai suoi antichi. I giovani che si avvicinano all’organizzazione devono osservare le imprescindibili regole mafiose, riportate in un codice mafioso scritto, custodito gelosamente da decenni e che regola, ancora oggi, la vita di “cosa nostra” da cui si esce solo con la morte, dicono i boss. È emersa, raccontano gli inquirenti, non solo la necessità da parte dell’organizzazione di trovare nuovi adepti ma anche quella di formarli secondo le regole della consorteria. Emblematica è la vicenda che riguarda il mandamento mafioso di Pagliarelli e nello specifico il reclutamento, da parte della famiglia di Corso Calatafimi di un giovane, ritenuto legato a un mafioso detenuto, per avviarlo alle attività illecite tipiche del sodalizio non prima però di averlo istruito circa i principi cardine di “cosa nostra” attraverso vere e proprie “lezioni di mafia”: il giovane sarebbe stato “preso in carico” da un indagato che gli avrebbe offerto specifiche indicazioni invitandolo a prendere esempio dal proprio modo di agire nei confronti delle persone da sottoporre ad estorsione nonché consigliandolo su come rapportarsi ai vertici mafiosi.

Fonte: Il Sole 24 Ore