“Iddu – L’ultimo Padrino”, alti e bassi nel film su Matteo Messina Denaro

È sicuramente uno dei film italiani più chiacchierati degli ultimi mesi, “Iddu – L’ultimo Padrino”, nuovo lungometraggio di Fabio Grassadonia e Antonio Piazza, presentato in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia di quest’anno.

Il motivo del perché se ne è parlato così tanto è molto semplice: il soggetto prende ispirazione dalla vita di Matteo Messina Denaro, uno dei boss più potenti di Cosa Nostra, arrestato all’inizio del 2023 dopo una latitanza di circa trent’anni. Morto otto mesi dopo la cattura, nel settembre dello scorso anno, Messina Denaro è stata una figura misteriosa, sostanzialmente invisibile ed è proprio su quest’ultimo aspetto che si concentrano i due registi, arrivati al loro terzo lungometraggio dopo “Salvo” (2013) e “Sicilian Ghost Story” (2017).

Sono però due i protagonisti del film poiché, oltre al noto ricercato, al centro della trama c’è anche Catello, un politico di lungo corso che ha perso praticamente tutto dopo aver passato alcuni anni in prigione per mafia. Quando i Servizi Segreti italiani gli chiedono aiuto per catturare il suo figlioccio Matteo, ultimo grande latitante di mafia in circolazione, Catello coglie l’occasione per rimettersi in gioco. Uomo furbo dalle cento maschere, Catello dà vita a un unico quanto improbabile scambio epistolare con il latitante, del cui vuoto emotivo cerca d’approfittare. Un azzardo che con uno dei criminali più ricercati al mondo comporta un certo rischio.

Inizia mescolando passato e presente, infanzia ed età adulta del personaggio ispirato a Messina Denaro, “Iddu”, film con cui Grassadonia e Piazza riprendono alcune tematiche e modalità stilistiche dei loro lavori precedenti.

Più che una pellicola dai toni gangster, “Iddu” ha momenti – soprattutto verso la conclusione – che sfiorano il western, sia per il gioco sul senso di attesa e sui silenzi, sia per il confronto tra le figure umane in scena e l’ambiente che li circonda.

Fonte: Il Sole 24 Ore