Idroelettrico, piano di Edison al Sud: due impianti al via entro il 2030

Edison al lavoro sul fronte dei pompaggi idroelettrici, la tecnologia che attraverso il passaggio dell’acqua tra due bacini è in grado di assorbire energia nelle ore di maggiore produzione e di rilasciarla in quelle di maggiore consumo. L’azienda ha una pipeline da 2,5 GW per una decina di impianti nel Sud, a vari stadi autorizzativi, in Puglia, Basilicata, Calabria (primo pompaggio marino), Sicilia e Sardegna. Di questi, per due l’obiettivo è entrare in esercizio nel 2030: sono gli impianti di Pescopagano (Basilicata) e Villarosa (Sicilia), da 500 MW, per la cui realizzazione Edison ha sottoscritto recentemente con Webuild un accordo da 1,2 miliardi di euro di investimenti. «Per entrambi abbiamo già ottenuto la Via (Valutazione di impatto ambientale, ndr) e stiamo lavorando per avere entro l’anno la chiusura dei procedimenti autorizzativi. L’obiettivo è essere pronti a partecipare alle aste dedicate ai sistemi di accumulo che ci aspettiamo nella prossima primavera con meccanismo Macse (Mercato a termine degli stoccaggi, ndr) in via di definizione tra Ministero dell’Ambiente, Terna e Arera», racconta Daniele Bellini, responsabile dell’idroelettrico di Edison.

Invasi già esistenti

«Abbiamo cercato invasi già esistenti. Ne abbiamo mappati 150 in otto regioni del Sud, individuandone circa una decina su cui avviare rapidamente investimenti per recuperarne la piena funzionalità e accanto ai quali realizzare il secondo bacino per il pompaggio. In Italia esistono circa 530 dighe, con una capacità teorica di quasi 14 miliardi metri cubi, di cui sono però invasabili 11-12. Il deficit di accumulo della risorsa idrica è soprattutto al Sud, per interventi di manutenzione o di completamento che devono essere ancora realizzati. La Sicilia ha 47 invasi, la maggior parte costruita con la Cassa del mezzogiorno: sono utilizzati al 70%, i 14 in Basilicata al 50%. Ripristinando la capacità degli invasi è possibile mitigare gli effetti del cambiamento climatico, contrastando per esempio la siccità. Nei pompaggi c’è necessità solo di una parte limitata d’acqua, utilizzata a ciclo chiuso, senza consumo, il resto può essere destinato a usi irrigui o antincendio, per esempio. Al Sud è previsto il maggior sviluppo di rinnovabili non programmabili ed è in questa parte del Paese che, oltre allo sviluppo della rete, sarà necessario prevedere accumuli per assicurare flessibilità, adeguatezza e sicurezza della rete», continua Bellini.

Pniec: 9 GW al 2030

In Italia operano 22 pompaggi (14 a Nord), con una potenza in assorbimento di circa 6,5 GW. Terna ha ricevuto richieste di allacciamento alla rete per nuovi sistemi di accumulo, di cui fanno parte anche quelli di Edison, per 8 GW. Il Pniec ha individuato in 9 GW la capacità necessaria al Paese entro il 2030. A dicembre la Commissione Ue ha approvato l’asta Terna sui sistemi di accumulo (che si realizzerà con il Macse ): 17,7 miliardi di euro a incentivare una capacità proprio di 9 GW. «Auspichiamo che di questi 3-4 GW siano pompaggi idroelettrici: potrebbero liberare 10 miliardi di euro di investimenti privati con un impatto occupazionale stimato di 15mila unità per la costruzione e 1.000 per l’esercizio. Senza contare i benefici collegati al rafforzamento della competitività industriale del Paese, visto che l’Italia ha una filiera dell’idroelettrico molto forte, alla maggiore sicurezza energetica, alla minore dipendenza da materie prime critiche necessarie per lo sviluppo dell’altra tecnologia di accumulo matura, quella delle batterie elettrochimiche. Ci auguriamo che il Macse riconosca e valorizzi adeguatamente le diversità delle due tecnologie, anche in ottica di benefici per il sistema Paese, assicurando spazi di competitività ai pompaggi per avviare importanti investimenti, 10 miliardi come detto, ai quali si potrebbero aggiungere altri 15 miliardi qualora sul fronte delle concessioni idroelettriche si procedesse sulla quarta via, per la riassegnazione allo stesso operatore a fronte di un forte impegno sugli investimenti», conclude Bellini.

Fonte: Il Sole 24 Ore