Idrogeno: dai settori ai costi: ecco i tre scenari nel piano del governo
Dopo nove mesi di lavoro del gruppo voluto dal ministro dell’Ambiente, Gilberto Pichetto Fratin, arriva la strategia nazionale sull’idrogeno con tre scenari di diffusione, a seconda del diverso grado di sviluppo del vettore che il governo considera cruciale per la decarbonizzazione del Paese e dei suoi consumi finali (soprattutto, di quelli collegati a trasporti e industria hard to abate). La strategia rappresenta, dunque, il tentativo di definire una traiettoria credibile e garantire la nascita di un vero e proprio mercato dell’idrogeno, finora ostacolato anche dalle forti differenze di prezzo tra l’idrogeno green prodotto da rinnovabili (9-16 euro al chilogrammo) e le sue varianti “grigio” (poco sopra i 2 euro al kg) e “blu” (3-4 euro al kg), vale a dire quello generato da fossili in combinazione con la cattura e lo stoccaggio del carbonio (Ccs).
Un percorso in più step
Ma cosa prevede nel dettaglio il documento? La strategia è incentrata su tre direttrici (domanda, offerta e trasporti e infrastrutture) secondo un percorso in tre fasi che, nel breve periodo (short term, da qui al 2030), dovrà soprattutto puntare a mettere a terra i primi progetti di produzione dell’idrogeno (finanziati con il Pnrr), a cominciare dalle cosiddette “hydrogen valleys” per poi arrivare, nel secondo step (medium term, 2030-2040) a far decollare un vero mercato anche attraverso soluzioni di grande taglia e assicurare, infine, al 2050 (loggn term) una penetrazione dell’idrogeno che potenzialmente potrà raggiungere circa il 18% dei consumi finali dell’industria hard to abate e del 30% di quelli dei trasporti secondo lo scenario “alta diffusione”.
La traiettoria al 2050: tre scenari alternativi
Quest’ultimo scenario è affiancato ad altri due percorsi alternativi per disegnare la traiettoria da qui al 2050: la prima, lo “scenario base” ipotizza consumi lordi di idrogeni e combustibile derivati per 6,4 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio (di cui 3,9 Mtep solo per i trasporti e 1,6 Mtep per l’industria); nella seconda, lo “scenario intermedio” l’asticella sale a 9,1 Mtep (5,2 Mtep associati ai trasporti), mentre nell’ultimosi arriverebbe a circa 12 Mtep di fabbisogno complessivo.
Due ipotesi per disegnare per l’offerta
Quanto all’offerta, il documento ipotizza anche in questo caso due possibili assetti, a seconda del mix tra produzione interna e import. Nel primo, con prevalenza di idrogeno prodotto “in casa” (e 30% di importazioni), si stimano dai 4 a 8 milioni di tonnellate di petrolio equivalenti di produzione nazionale in base allo scenario minimo-massimo con 2-4 Mtep di import e una capacità di elettrolizzatori tra 15 e 30 GW che comporteranno una spesa cumulata di 8-16 miliardi, ai quali dovranno essere aggiunti da 35 ai 70 miliardi per garantire gli impianti Fer necessari ad assicurare questa accelerazione. Nel secondo, 20% di produzione nazionale e 80% di import), invece, gli investimenti per gli elettrolizzatori scenderebbero a 2-5 miliardi per 4-9 GW, quelli per le Fer a 10-20 miliardi.
Il fronte infrastrutturale
Più tessere, quindi, per arrivare a produrre l’idrogeno in modo economico abbattendo le differenze di prezzo oggi ancora esistenti tra le diverse varianti. Sfruttando anche la spinta delle infrastrutture come il SoutH2Corridor – in campo, sul fronte realizzativo, c’è Snam -, che dovrà fare da “ponte” tra i centri di produzione del Nord Africa e i poli di consumo nell’Europa centrale. E al quale andrà affiancata anche una decisa spinta sui porti che potranno integrare la domanda domestica con altri volumi da riconvertire (per esempio, ammoniaca verde, metanolo verde e carburanti sostenibili per l’aviazione).
Fonte: Il Sole 24 Ore