«Il boss dei panini» vince contro Hugo Boss: sì alla registrazione del marchio

«Il boss dei panini» vince contro Hugo Boss: sì alla registrazione del marchio

Per la Suprema corte, infatti, l’impedimento alla registrazione «non va rinvenuto, in via esclusiva, nell’asserita notorietà del marchio «Boss», dovendosi altresì indagare, e ciò compete alla Commissione dei Ricorsi, se l’assenza di novità del marchio «Il boss dei panini» debba essere affermata non solo avendo riguardo al rischio di confusione, ma anche al rischio di agganciamento». E dunque in considerazione del fatto che il marchio successivo, senza giusto motivo, trarrebbe indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla rinomanza del segno anteriore o recherebbe pregiudizio agli stessi.

Sulla scia di queste indicazioni della Cassazione si è mossa, dunque, la Commissione ricorsi nel dare partita vinta al «boss dei panini». Per la Commissione il marchio posteriore, anche se rivalutato alla luce dei principi dettati dalla Cassazione, «resiste sia al denunciato rischio confusorio sia a quello di agganciamento, in quanto il termine boss, circoscritto e dall’articolo determinativo e dall’espressione “dei panini”, non risulta minimamente apprezzabile al marchio patronimico di cui è titolare Hugo Boss Trade Mark Management GMBH & COM».

Il boss inteso come capo e numero uno

Nella sentenza si sottolinea che la parola «boss», inglobata nel marchio, pur essendo in teoria sovrapponibile al patronimico del marchio anteriore, altro non è che un puro lemma angloamericano, spesso usato, anche in maniera scherzosa, per indicare un capo, un numero uno, un padrone investito di qualche autorità in un campo.

La Commissione esclude che il consumatore medio possa pensare che i prodotti del «boss dei panini» siano gli stessi solennemente indicati dal marchio Boss «peraltro molto conosciuto nel settore dell’abbigliamento di un certo livello e quindi ragionevolmente percepita lontana dal mondo frugale dei consumatori dei panini». Rischio di confusione e agganciamento fugato, anche grazie alla dimostrazione dell’ampio uso che della parola «boss», intesa come leader, si fa in tv e in rete dove abbondano i marchi «boss», come il «boss delle cerimonie», il «boss delle torte» ecc., tutti in teoria concretamente più apparentabili al brand tedesco.

Soddisfatto l’avvocato Angelo Cocozza, legale del titolare del marchio “debole” vincitore, dopo ben cinque gradi di giudizio. «Capita spesso che ci siano contenziosi sui marchi, ma i piccoli imprenditori hanno raramente la forza di portare fino in fondo le contese contro dei colossi. Questa volta siano arrivati alla fine. La Hugo Boss ha avuto con noi l’opportunità di ottenere il riconoscimento di marchio forte».

Fonte: Il Sole 24 Ore