Il ceo di H&M: «Il nostro obiettivo? Sempre lo stesso: creare moda accessibile»
Trascurabili dubbi di pronuncia a parte (c’è chi legge le due lettere in inglese, chi lo fa in italiano,qualcuno ci prova persino in svedese), H&M è un nome che tutti conoscono, anche se forse non tutti sanno quanto lunga sia la sua storia. L’azienda fu fondata nel 1947 e oggi è un colosso globale quotato alla Borsa di Stoccolma: l’anno fiscale di H&M termina alla fine di novembre e il 26 ottobre sono stati annunciati i risultati dei primi nove mesi (dicembre 2023-agosto 2024), con ricavi per 172,2 miliardi di corone svedesi (oltre 15 miliardi di euro), un risultato in linea con lo stesso periodo dell’esercizio fiscale precedente, ma con una crescita di indici e margini di redditività e quindi accompagnato da un cauto ottimismo dei vertici dell’azienda e dalla previsione che le vendite di settembre sarebbero aumentate dell’11% e che il quarto trimestre nel complesso sarebbe stato positivo. Daniel Ervér, ceo di H&M e del gruppo omonimo a livello mondiale, non si sbilancia sui dati, ma entra nei dettagli della visione sua e dell’azienda per il presente e il futuro.
Nel 2027 festeggerete 80 anni: dal dopoguerra a oggi il mondo e l’industria della moda sono cambiati radicalmente. Lo ha fatto anche H&M?
Il gruppo è in perenne evoluzione e trasformazione, oltre che in crescita, ma una cosa non è mai cambiata. L’obiettivo del fondatore, quando nel 1947 aprì il primo negozio nella città svedese di Västerås, in un’epoca in cui la moda non era certo accessibile a tutti, era di vendere abbigliamento femminile a prezzi, appunto, accessibili. Ancora oggi condividiamo tutti quello stesso obiettivo (i dipendenti nel mondo sono circa 150mila, ndr), ma possiamo aggiungere che desideriamo raggiungerlo seguendo criteri di sostenibilità sociale e ambientale. Il nostro claim è la sintesi di questo percorso: moda e qualità al miglior prezzo e sostenibile.
Dal 1947 è cambiata molto anche la comunicazione e la conoscenza della moda, non crede?
Certo che sì e i social network hanno ulteriormente accelerato questo percorso. Però anche in questo caso, sono convinto che una cosa non sia cambiata: la moda è un mezzo per esprimersi, per raccontare qualcosa di sé o forse addirittura per dare il meglio di sé. Non crede che sia un diritto da garantire a tutti, oggi come 80 anni fa?
Come si concilia però l’aumento di produzione e vendite con la sostenibilità?
È possibile impegnandosi, verso l’esterno e verso l’interno. Mi spiego meglio: al centro di tutto deve esserci sempre il prodotto e la sua desiderabilità e per questo abbiamo uffici stile che sono cresciuti di pari passo alle dimensioni dei marchi e alla diffusione in diversi mercati o categorie di prodotto. Non abbiamo mai pensato di prendere scorciatoie su questo, ispirandoci a collezioni che già esistevano sul mercato: lo sforzo, anzi, la passione creativa sarà sempre il motore di tutto. Ma dobbiamo ascoltare i segnali che vengono dai clienti, capire come cambiano le necessità e le occasioni d’uso e i gusti. A volte possiamo riuscire ad anticipare cambiamenti o bisogni, come è successo con le collaborazioni che H&M ha presentato con stilisti di fama internazionale: la prima fu con Karl Lagerfeld, vent’anni fa, proprio con l’intento di rendere accessibile a tutti la visione creativa di un genio simile, che all’epoca era già direttore creativo di una maison del lusso come Chanel. Tutto intorno al prodotto si evolve costantemente l’attenzione alla sostenibilità ambientale e si può essere molto creativi anche nel cercare e trovare modi per risparmiare energia, ridurre gli sprechi, utilizzare nuovi materiali.
Come si coinvolgono i clienti in questa evoluzione?
Le nuove generazioni, anche se generalizzare è pericoloso, sono molto attente a quello che comprano e a come i marchi raccontano il rispettivo “dietro le quinte”. Ascoltiamo, ripeto, e poi comunichiamo e annunciamo progetti di riciclo o upcycling, con un’attenzione all’economia circolare, ai nuovi materiali e alle esperienze nei negozi, anch’essi progettati sempre in ottica di architettura sostenibile.
Fonte: Il Sole 24 Ore