“Il cielo brucia”, solitudine e creazione artistica in un film che non lascia indifferenti
Dopo l’acqua è il momento del fuoco: Christian Petzold prosegue nell’utilizzare gli elementi della natura come metafora delle situazioni che vivono i personaggi delle sue pellicole.
Tre anni dopo “Undine”, film in cui l’acqua ha un ruolo del tutto centrale, è il turno dell’infuocato “Il cielo brucia”, pellicola uscita questa settimana nelle nostre sale e secondo capitolo di un’ipotetica trilogia incentrata, oltre che sugli elementi, anche sulla solitudine.
Il film si apre con due giovani amici berlinesi che decidono di recarsi in una casa sulle coste del Mar Baltico per le vacanze: Leon è uno scrittore, ma sta attraversando una crisi, che lo porta a terminare con varie difficoltà il suo secondo romanzo, mentre attende il suo editore; Felix, invece, deve comporre un portfolio da presentare all’Accademia delle Belle Arti. Appena arrivati, però, i due scoprono che in casa ci sono già degli inquilini.
È un dramma dai toni apocalittici, “Il cielo brucia”, film che, già dalla prima sequenza, ci fa sentire i minacciosi rumori degli elicotteri come presagio di un pericolo imminente: attorno all’abitazione in cui si trovano i ragazzi, gli incendi stanno divampando e finiranno per arrivare sempre più vicini. Notevolissima in questo senso una sequenza in cui sembra piovere della cenere in questa pellicola dove le atmosfere contano più delle parole, come dimostra anche il toccante e riuscito finale.
Come nel bellissimo “La donna dello scrittore”, probabilmente il più importante lungometraggio firmato dal regista tedesco, la creazione artistica è alla base di un film che ha come personaggio un giovane scrittore, schivo e piuttosto antipatico, che mostra nel corso della narrazione come i suoi atteggiamenti dipendano soprattutto da una serie di tormenti interiori e da numerose fragilità.La scrittura lo porta a isolarsi per avere una scusa per sfuggire dal mondo che lo circonda, ma anche per provare a nascondere quei sentimenti così evidenti che prova per una ragazza appena conosciuta.
Un personaggio femminile dai toni salvifici
Molto spesso nel cinema di Petzold – da ricordare sono inoltre “La scelta di Barbara” e “Il segreto del suo volto” – le figure femminili hanno toni salvifici e non fa eccezione il personaggio di Nadja, interpretato da Paula Beer, vera e propria musa del cinema dell’autore tedesco.Sarà lei a far emergere quei sentimenti che Leon si tiene dentro, così come a dare equilibrio a una complessa situazione che molto presto si crea in questa curiosa casa delle vacanze.
Fonte: Il Sole 24 Ore