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Il Corvetto e la ricerca della “bellezza che salva”
“Un ragazzo che possiede dentro di sé il senso del bello avrà difese per tutta la sua vita”. Dice così il cantautore Roberto Vecchioni. La bellezza come motore in grado di ampliare le potenzialità dei singoli e migliorare il benessere sociale, contribuendo a diminuire i costi legati all’esclusione sociale. E’ da questo assunto, mutuato dalla ricerca neuropsichiatrica, che ha preso forma il progetto “Di bellezza si vive”.
Quattro anni di sperimentazione
Quattro anni di sperimentazione sul tutto il territorio italiano che hanno coinvolto oltre cinquemila tra ragazzi e bambini e le loro famiglie. Un progetto, finanziato dall’impresa sociale “Con i Bambini” nell’ambito del “Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile”, che ha visto a lavoro una rete fitta di scuole, associazioni culturali e del no profit. “Abbiamo ribaltato tutti i parametri e siamo andati a cercare la bellezza dove sembrava impossibile scovarla e dove però era necessario trovarla”, afferma Giorgia Turchetto, che è la responsabile del programma a livello nazionale.
Il Corvetto a Milano
Uno dei progetti si è sviluppato nel perimetro del quartiere Corvetto di Milano. Di Corvetto si è parlato molto dopo che – lo scorso novembre – un ragazzo di 19 anni, Ramy Elgaml, è morto nello schianto della moto guidata dall’amico tunisino, Fares Bouzidi, in fuga da una pattuglia dei carabinieri. Si è parlato di criminalità, integrazione fallita. “La gente del quartiere si è sentita maltrattata, il faro dell’informazione ha descritto solo il degrado, ma non ha voluto ascoltare il resto: la rete di associazioni, le singole persone e i tanti progetti che animano questa zona”, racconta Giulia, ragazza di 18 anni che studia all’Itsos Steiner, una scuola nata nel cuore del quartiere e frequentata da ragazzi che vengono da ogni parte della città. Lo Steiner è stato uno degli istituti in cui si è sviluppato il progetto “Di bellezza si vive”.
“Abbiamo portato i ragazzi in giro per il quartiere con il compito di trovare la bellezza. All’inizio a molti è sembrata una provocazione” dice Luigi Tufariello che in On impresa sociale si occupa di progetti educativi. “Corvetto è un quartiere che vive di contrasti, il lavoro che abbiamo fatto è stato inizialmente sedersi, in luoghi fisici del quartiere e osservarne le dinamiche. Sono state giornate di scoperta e di abbattimento di molti luoghi comuni a partire dal termine bellezza. Per un giovane d’oggi ciò che è bello ha spesso a che fare con una forma di decadenza. Quindi poter lavorare proprio su questi aspetti più urbani è stato molto stimolante. I ragazzi hanno capito subito cosa volevamo fare e ci sono venuti dietro senza fatica. Il lavoro è stato quello di cercare e trovare nell’inaspettato degli incontri una forma di armonia, di accoglienza, un senso appunto del bello. Qualcosa che andava oltre tutti i luoghi comuni che questo quartiere si portava dietro. Alcuni studenti che qui vivono sono diventati parte attiva nel permetterci la scoperta di luoghi nascosti e sorprendenti”.
Il lavoro ha coinvolto i ragazzi in due modalità differenti, il primo quello di testimoniare il bello attraverso interviste ai residenti, il secondo quello di fotografare visi e luoghi. Tutto è confluito in una mostra che ha avuto ricadute sul luogo, lungo un percorso volto a conoscere e approfondire Corvetto attraverso la sua storia, i racconti degli abitanti e la riscoperta dei luoghi. Questa narrazione del territorio ha permesso di sviluppare un senso civico di appartenenza e rispetto del proprio territorio. Un circolo virtuoso in cui tutti hanno vinto. Dimostrando che esiste ancora oggi una narrazione delle periferie che non tiene conto di molti fattori. Si preferisce semplificare e confermare un cliché vecchio e sorpassato, non accettare la complessità, trasformando le periferie in ghetti immaginari. Non solo: “Gli studenti che vivono nel quartiere hanno potuto dare un’immagine di sé differente, abbattendo i tanti stereotipi che i compagni di altre zone di Milano avevano loro affibbiato”, spiega Giulia Imbrogiano che, per On impresa sociale, ha curato il progetto. “La mia classe ha sviluppato un progetto fotografico di narrazione visiva del Corvetto. Questo stare per le vie del quartiere, mi ha permesso di conoscere cose che non sapevo”, spiega Camilla, 18 anni. “A partire dal giudizio che chi vive qui ha di questa zona, dove la convivenza tra minoranze funziona, dove ci sono tanti gesti di generosità, idee e progetti per stare assieme”.
Fonte: Il Sole 24 Ore