Il diritto di sciopero non giustifica il blocco stradale improvviso e prolungato

Il diritto di sciopero non giustifica il blocco stradale improvviso e prolungato

L’esercizio del diritto di sciopero e di riunione non può portare a un blocco stradale improvviso, di diverse ore, in grado di provocare tensioni e disagi superiori rispetto a quelli normalmente accettabili. Non è in contrasto con la Convenzione europea dei diritti dell’uomo la sentenza di condanna emessa dai giudici nazionali che punisce i manifestanti responsabili, in modo intenzionale, di un blocco stradale. È la Corte europea dei diritti dell’uomo a stabilirlo con la sentenza depositata ieri nella causa Bodson e altri contro Belgio, destinata a incidere sulla corretta interpretazione delle norme convenzionali in altri casi simili. Strasburgo ha respinto il ricorso dei manifestanti e dato ragione allo Stato in causa, affermando il diritto dello Stato di intervenire nel caso di blocchi stradali, sempre più diffusi, che non rientrano nella libertà di riunione protetta dall’articolo 11 della Convenzione.

I fatti

A rivolgersi ai giudici internazionali erano stati alcuni cittadini belgi, alcuni dei quali aderenti al principale sindacato del Paese. Nel corso di uno sciopero generale, era stato impedito, in modo intenzionale, l’accesso all’imbocco autostradale. L’iniziativa aveva condotto a un blocco nella circolazione di quasi cinque ore con ingorghi e code lunghissime in autostrada. Di qui l’azione penale nei confronti di alcuni scioperanti e la condanna a pene da 15 giorni a un mese di reclusione e multe.

La posizione della Corte

Una condanna che, secondo i ricorrenti, era in contrasto con il diritto alla libertà di espressione, di riunione e associazione. La Corte non ha condiviso questa tesi. Precisato che ogni manifestazione in un luogo pubblico è suscettibile di provocare disagi nella vita quotidiana e in particolare al traffico stradale e che ciò non può portare a un’ingerenza nel diritto alla libertà di manifestazione perché le autorità pubbliche devono mostrare un certo grado di tolleranza, la Corte ha stabilito, però, che i disagi non possono raggiungere un’entità tale da arrivare allo sconvolgimento della vita quotidiana. Nei casi in cui i manifestanti mettono in atto comportamenti che provocano disagi nella quotidianità di gran lunga superiori rispetto a quelli comunemente accettabili, gli Stati hanno un ampio margine di apprezzamento nella scelta delle misure da adottare, amministrative o anche penali. L’intervento delle autorità nazionali, inoltre, non era rivolto a limitare il diritto di manifestare, ma a impedire modalità di attuazione che avevano provocato code chilometriche e inciso sulla circolazione e sulla vita quotidiana dei cittadini. È stata ammessa, poi, anche la sanzione penale che non è stata sproporzionata tenendo conto delle pene inflitte.

Ingerenza statale proporzionata

La Corte ha valutato che il blocco stradale era avvenuto senza che fosse stata preliminarmente comunicata l’interruzione e senza alcuna autorizzazione, con il solo fine di bloccare un’attività – quella di circolazione – di tutti i cittadini, senza alcun collegamento con l’obiettivo della protesta. Non solo. La Corte osserva che i manifestanti avrebbero potuto scegliere altre forme di protesta pacifica per fare valere le proprie rivendicazioni. Poco importa, inoltre, che l’iniziativa non fosse stata attivata dai ricorrenti perché questi ultimi avevano aderito ed erano consapevoli delle conseguenze significative che avrebbero causato, che andavano ben oltre una semplice situazione di disagio.

Le autorità nazionali, quindi, hanno agito in linea con la Convenzione europea perché non hanno condannato i ricorrenti per l’esercizio del diritto di sciopero o per aver espresso le proprie opinioni, ma per aver bloccato intenzionalmente la circolazione stradale. L’ingerenza dello Stato – conclude la Corte – è stata così proporzionata e non si è verificata una violazione della Convenzione.

Fonte: Il Sole 24 Ore