Il fish&chips irlandese? È tutto made in Italy. Anzi made in Casalattico

Ogni 14 agosto le strade di Casalattico, 531 anime sulle colline di Frosinone, si riempiono di boccali di Guinness, pancetta, merluzzo fritto e trifogli verdi. Quando c’è l’Irish fest, la musica celtica va avanti fino all’alba. Ma quella degli abitanti di Casalattico non è solo un’ossessione per Dublino. Il fatto è che tutto il fish&chips d’Irlanda è puro made in Italy. Anzi, made in Casalattico.

Fusco, Macari, Borza, Libero, Aprile. Il 95% dei locali irlandesi specializzati in merluzzo fritto e patatine appartengono agli italiani. Il primo risale alla fine dell’Ottocento, fu fondato da Giuseppe Cervi. Ma il grosso è arrivato tutto nel secondo Dopoguerra: «Mia madre – racconta Antonio Macari, uno dei cognomi più noti del fish&chips irlandese – è sbarcata a Dublino nel 1957 da Montattico, una frazione di Casalattico; sua sorella aveva appena aperto il primo negozio, gli affari andavano bene e aveva bisogno di aiuto». Quando non c’era più nessuno della famiglia, ci si rivolgeva agli amici, poi agli amici degli amici. Alla fine, in Irlanda è emigrata tutta la valle. Sul battello che porta i turisti in giro per la baia di Dublino, una voce registrata racconta ancora oggi che ci sono più abitanti di Casalattico in Irlanda che nel Lazio. E mentre gli irlandesi emigravano a Boston, gli italiani compravano le loro case e si lanciavano nel business. Rigorosamente a dimensione familiare: piccole catene di tre o quattro negozi. Quando un figlio si sposava, se ne aggiungeva uno nuovo.

«Fino alla fine degli anni 70, l’80% degli italiani che c’erano in Irlanda veniva dal mio paese», racconta ancora Antonio Macari. Nel Dopoguerra dalle colline di Casalattico si scappava per la fame, e chi arrivava in Irlanda non aveva nulla. Ma perché non cominciare dalla pasta o dalla pizza, perché proprio il fish&chips? «La generazione dei miei genitori – dice Antonio – è stata saggia, scelse di cucinare non quello che piaceva a loro, ma quello che piaceva agli irlandesi». Merluzzo e patatine, per la verità, non erano nemmeno nella tradizione locale: «È un cibo che gli italiani hanno portato a Dublino dall’Inghilterra – racconta Teresa Di Nardi, che di cognome da nubile fa Borza, altro marchio storico del fish&chips – ed è proprio perché in Irlanda questo piatto non c’era, che noi italiani non venivamo vissuti come quelli che portavano via il lavoro agli irlandesi. È un impiego duro, sette giorni su sette, anche la sera. La gente di Dublino non lo voleva fare». Però si guadagnava bene: «Gli irlandesi – ricorda Antonio Macari – sono sempre stati molto cattolici, il venerdì fanno vigilia e mangiano pesce. Mia madre raccontava sempre che negli anni 60 l’incasso del venerdì era uguale a quello di tutto il resto della settimana». Ancora oggi non c’è paese o quartiere, in questa nazione da 5 milioni di abitanti, che non abbia almeno una chiesa, un pub e un fish&chips.

Nel frattempo, Casalattico ha cambiato faccia. Grazie alle rimesse, i ruderi da cui si scappava hanno lasciato il posto alle villette: «Il boom edilizio in paese è cominciato negli anni 70 – racconta il sindaco, Francesco Di Lucia – mio zio faceva il costruttore e veniva pagato in sterline». Lavoro invece, non ce n’è ancora: «I giovani oggi o vanno a Roma, che è a un’ora e mezzo da qui, oppure continuano ad andare in Irlanda – dice Di Lucia – del resto, tra Milano e Dublino, è meglio la seconda: l’aereo costa uguale, ma tutti lì hanno almeno un parente o un amico a cui appoggiarsi». Di turismo, al contrario, a Casalattico ora ce n’è parecchio: «D’estate superiamo le duemila persone – racconta il sindaco – chi è emigrato torna per le vacanze, giovani e anziani insieme, ma cominciano ad arrivare anche gli irlandesi che qui non hanno parenti. Vengono perché si parla inglese, affittano le case, e si godono l’Irish fest del 14 agosto».

In Irlanda, intanto, la terza generazione dei chippers – così li chiamano, gli italiani del fish&chips – preferisce allontanarsi dal business di famiglia: «Già mio fratello – racconta Antonio Macari – aveva scelto di fare il commercialista e mia sorella l’insegnante, loro hanno studiato all’università; i miei due figli mi hanno aiutato da studenti, ora però vogliono fare altro». Così, negli ultimi vent’anni, in Irlanda si è fatta avanti una nuova ondata di immigrati: «Arrivano dalla Moldavia, dalla Bielorussia, dal Kosovo. Tanti dalla ex Jugoslavia – dice Macari – sono loro che stanno prendendo in mano il business del fish&chips. E come avevamo fatto noi italiani, si portano dietro i fratelli, le sorelle e gli amici, man mano che ingrandiscono il business». Le famiglie storiche di Casalattico vendono, ma il loro nome non glielo lasciano utilizzare, così la nuova generazione ribattezza i ristoranti “Roma” o San Marino”. Il merluzzo fritto, però, lo sanno fare bene: «Prima di diventare imprenditori lavoravano per noi», spiega Antonio Macari. La storia si ripete.

Fonte: Il Sole 24 Ore