Il Maglificio Gran Sasso compie 70 anni: «Il nostro made in Italy ispirato al territorio»
Dalle antiche macchine per maglieria ai più moderni telai cotton di produzione giapponese di ultima generazione. Dal primo pullover a un milione di capi prodotti ogni anno. Un filo – è proprio il caso di dirlo – lungo settant’anni collega virtualmente questi elementi che rappresentano la storia, il presente e il futuro del maglificio Gran Sasso S.p.A, una delle realtà italiane più importanti nel settore della produzione e della distribuzione della maglieria uomo e donna.
Tutto partì da Sant’Egidio alla Vibrata, al confine tra Abruzzo e Marche, nel 1952, grazie ai fratelli Nello, Eraldo, Alceo e Francesco Di Stefano che con grande spirito di iniziativa – e tempra tutta abruzzese – diedero vita a questa impresa che oggi è un gruppo con 400 dipendenti, 2mila clienti in 40 Paesi, un export (soprattutto verso il Nord Europa) che riguarda il 60% della produzione. Oltre alla sede centrale e alla tintoria industriale nel comune del teramano (un complesso industriale di 36mila mq progettato dall’architetto Guido Canali), il gruppo annovera anche un opificio a Roseto degli Abruzzi, ricavato da un’antica fornace, e uno showroom a Milano. Il fatturato del gruppo nel 2021 ha raggiunto quota 50 milioni di euro.
«Tutto ebbe inizio quando i miei nonni ricevettero delle macchine per maglieria per saldare un debito – spiega Guido Di Stefano, brand manager collezione donna, figlio di uno dei fondatori, alla guida dell’azienda insieme agli altri Di Stefano di seconda e terza generazione – mia nonna cercò di capire come funzionassero perché nessuno sapeva usarle. Dopo il primo pullover, non ci siamo più fermati. La nostra è una produzione orgogliosamente made in Italy – racconta – tutto avviene all’interno dei nostri stabilimenti, e grazie alla presenza della tintoria gestiamo l’intera filiera. In questo modo, abbiamo sia controllo che libertà d’azione. Abbiamo mantenuto convintamente la produzione in Italia – continua – perché uno dei nostri punti di forza è quello di essere parte del territorio in cui viviamo. I nostri fondatori, quando si affacciavano fuori dallo stabilimento, vedevano il Corno Grande del Gran Sasso che per noi continua a essere fonte di ispirazione. Inoltre, registriamo anche un forte recupero nella stagione attuale, dopo la fase della pandemia che ci aveva rallentato molto, causando un calo della produzione del 15%. È stato molto difficoltoso perché, al di là delle complessità tecniche, l’azienda ha dovuto affrontare dei cambiamenti organizzativi in un tempo brevissimo».
Standard elevati, moderna produzione e antiche tecniche artigianali sono il mix utilizzato sia per la maglieria tradizionale sia per quella più vicina alle tendenze del momento: «I nostri capi richiedono esperienza e maestria – spiega Di Stefano – e abbiamo dipendenti che lavorano con noi da anni, perché la nostra è una manodopera specializzata nelle rifiniture a mano e nei ricami. Sono felice anche del ricambio generazionale che, in diversi casi, si sta realizzando. Abbiamo, infatti, assunto i figli di questi nostri dipendenti che hanno dimostrato passione per questo lavoro, dopo un apprendistato svolto direttamente a casa, lavorando con le nostre macchine».
E se il passaggio da azienda familiare ad azienda industriale avvenne negli anni Settanta, quando il maglificio conquistò un’affermazione sia sul mercato nazionale sia su quello estero, oggi il nuovo traguardo dei settant’anni di attività viene celebrato puntando al giusto equilibrio tra la storia e la naturale evoluzione verso nuovi percorsi di innovazione, con un restyling del brand e con una particolare attenzione all’ambiente. Infatti lo stabilimento si caratterizza per una produzione green, grazie, tra le altre cose, al controllo delle risorse idriche, all’autoproduzione di energia da pannelli fotovoltaici e al recupero del 90% degli scarti. Inoltre, fibre pregiate, fatte per durare nel tempo, e materie prime riciclate: «Oggi il mercato è sensibile su questo tema – conclude Di Stefano – e ci invia indicazioni molto chiare in questo senso che noi cerchiamo di cogliere e concretizzare».
Fonte: Il Sole 24 Ore