Il manager come un buon padre: quando un passo indietro fa bene al team
Nelle situazioni più virtuose un capo illuminato, consapevole di essere intrappolato nello schema, progetta un percorso di delega, tipico oggetto di corsi di formazione manageriale, che si rivela però spesso pieno di ostacoli emotivi e cognitivi (se sono finito nella trappola del controllo ossessivo c’è qualcosa di profondamente mio che mi ci ha condotto).
Più spesso è un fatto accidentale che dimostra al manager la tossicità e l’inutilità del suo atteggiamento iperprotettivo. Un periodo in malattia per esempio, o la necessità di una lunga trasferta o di uno spostamento in un’altra sede, o anche la repentina adozione di uno smartworking integrale. Improvvisamente non posso più tormentarti, sparisci dal mio orizzonte visivo e devo accettare che rimanga tutto sulle tue spalle, che ci siano errori, che il lavoro non venga svolto alla perfezione come io desidererei (e come solo io so fare…).
Spesso questa improvvisa sparizione risulta salvifica. Il manager scopre di poter fare mille altre cose e si ritrova a stimare una persona di cui aveva scarsa considerazione. La risorsa coordinata dal canto suo ritrova il piacere di assumersi responsabilità, di agire in autonomia, di avere “un proprio personale impatto sul mondo”.
E se l’evento accidentale che ci allontana non arrivasse mai? Per questo un suggerimento molto concreto da prendere in considerazione per un capo è quello di allontanarsi fisicamente dalla postazione del proprio collaboratore. Può essere sufficiente anche un cambio di stanza, ma funziona meglio se ci eclissiamo del tutto, se cioè ci mettiamo nelle condizioni di non vederci mai durante la giornata a meno che non vogliamo deliberatamente farlo. In questa prospettiva lo smartworking non è necessariamente un valore perché teoricamente potremmo comunque tormentare chi lavora con noi con mail, call e wapp a getto continuo.
I benefici di una “cura della distanza” sono enormi:
Fonte: Il Sole 24 Ore