Il mondo, visto con gli occhi dei sami
Attorno al segreto che una bambina di nove anni è costretta a custodire e che ne plasmerà l’esistenza, Laestadius costruisce la metafora di una comunità che possiede le conoscenze per vivere in armonia con la natura, senza mettere a rischio l’esistenza di nessun organismo, ma che suo malgrado è trascinata nella deriva provocata da popoli che anziché l’equilibrio hanno cercato quella sproporzione che permette il dominio e la sopraffazione.
Ambientato nella parte svedese del Sápmi (che si estende anche in Norvegia e Finlandia), una regione povera, dove l’alternativa all’allevamento è la miniera, La ragazza delle renne si apre nel 2008, quando la protagonista, una piccola sami di nome Elsa, sorprende un uomo “bianco” uccidere il suo cucciolo di renna. Questo la minaccia di morte e lei si trova costretta a crescere mantenendo il segreto. Un segreto carico di responsabilità: da tempo, infatti, la sua comunità di allevatori di renne è impoverita e traumatizzata da continui massacri di animali. Denunciare non serve: nonostante centinaia di procedimenti avviati (reali, verificati dall’autrice) la polizia norvegese continua ad archiviarli senza veramente indagare. Derubricando ciò che, per un popolo che vive con le renne e per le renne, è un assassinio a furto o atto vandalico.
La solitudine, l’afonia di Elsa, chiusa nel suo drammatico segreto per paura che sparino a lei o qualcuno della sua famiglia, e costretta a vedere l’assassino della sua renna ucciderne sempre di nuove, con crescente crudeltà (a spingerlo non solo la necessità di vendere la carne per mantenersi, ma anche l’odio verso coloro che molti, in zona, definiscono «lapponi di merda»), riflettono quelle del suo popolo. Non solo l’isolamento storico dovuto alla colonizzazione, alla xenofobia, alle persecuzioni religiose – tanti i sami bruciati sul rogo -, alla deportazione dei bambini nelle tremende “scuole dei nomadi” (dove torna sempre la mente della nonna di Elsa in balìa della demenza senile), ma anche quello dovuto alla crisi climatica. Da molti anni gli allevatori ne denunciano, inascoltati, gli effetti devastanti, che li hanno già costretti a cambiare stile di vita. Per esempio i repentini sbalzi termici: fanno ghiacciare il suolo che per lunghi mesi dovrebbe essere coperto di soffice neve, rendendo impossibile per le renne mangiare i licheni. Durante l’inverno, «la stagione della luce azzurrina» – o quel che ne resta: le “otto stagioni” dei sami sono ormai irriconoscibili – quando il suolo si ghiaccia sono costretti a nutrire gli animali con tonnellate di costoso foraggio. Una pratica che altera la transumanza.
Smarriti in un mondo che cambia troppo velocemente, traumatizzati dalla violenza xenofoba – accresciuta dalla competizione per risorse sempre più scarse e instabili – dall’indifferenza, dalla loro impotenza e irrilevanza, incapaci di decidere se proseguire le tradizioni degli avi dedicandosi all’allevamento delle renne, ma essere probabilmente la generazione che dovrà interrarle, i sami sono un popolo dove i suicidi sono all’ordine del giorno.
Divenuta una giovane donna, Elsa deciderà di provare a fare quel che da bambina non era stata capace di fare: difendersi, difendere le sue renne e i sami. E immaginare un nuovo equilibrio, che non è però quello dei tempi andati. Accanto agli effetti della violenza culturale ed economica, Laestadius non trascura infatti di ritrarre anche quelli della violenza patriarcale, cui la sua comunità – che relega le donne a badare ai bambini e al focolare, mentre gli uomini seguono la transumanza delle renne per mesi e mesi e prendono tutte le decisioni della comunità – non è immune.
Fonte: Il Sole 24 Ore