Il nuovo nemico di Trump: i “guardiani del deficit” che fanno lievitare il costo del debito
C’è un mercato che non sorride con l’arrivo di Trump. Da quando il mondo dei bond ha iniziato a fiutare la crescente possibilità che l’imprenditore potesse diventare il 47° presidente degli Usa i tassi delle obbligazioni sul mercato secondario hanno preso la strada del rialzo. Soprattutto nelle lunghe scadenze, quelle su cui gli interventi della Federal Reserve hanno poca presa. Infatti il rialzo dei rendimenti si è verificato, paradossalmente, proprio mentre la banca centrale guidata da Jerome Powell avviava un percorso di tagli dei tassi con una sforbiciata – datata 18 settembre – di 50 punti base. Alla quale ne è seguita un’altra da 25 punti base il 7 novembre, con Trump appena eletto. Nel frattempo i rendimenti dei Treasury a 10 anni sono passati da un minimo di periodo al 3,6% fino al 4,4% toccato nel giorno della vittoria del repubblicano.
Perché Trump non piace al mercato obbligazionario? Perché gli investitori lo considerano «inflazionistico». Il suo programma di tagliare le tasse per le imprese con un’aliquota che potrebbe scendere al 15% richiederà un’espansione del deficit. Deficit che sta già viaggiando su livelli fuori scala: oltre il 6% del Prodotto interno lordo. Non era mai successo gli Usa facessero tanto deficit in presenza di un’economia in salute. A questo disavanzo hanno contribuito le spese per sostenere l’enorme debito pubblico, arrivato ad eguagliare il Pil e in prospettiva pronto al sorpasso, che hanno per la prima volta superato i 1.000 miliardi di dollari (1.160 miliardi) e le spese militari.Rispetto al 2017, quando Trump subentrava a Barack Obama, la situazione del debito Usa è profondamente peggiorata. A quei tempi la spesa complessiva per interessi ammontava a 460 miliardi. A fine 2020, quando Biden sostituiva Trump, si attestava a 517 miliardi. Negli ultimi quattro anni, prima a causa delle spese pandemiche e poi complice la scelta del Tesoro di attuare un deficit in chiave pro-ciclica, il debito è esploso passando dai 27.700 miliardi di fine 2020 agli attuale 35mila miliardi. Nello stesso arco le spese per interessi sono raddoppiate anche perché la Fed ha alzato i tassi per contrastare l’inflazione.
Un cane che si morde la coda. I rendimenti dei bond sulla parte lunga sono quindi in rialzo perché gli investitori temono che un’espansione del deficit possa creare i presupposti per un rialzo dell’inflazione. Recentemente il grande investitore e allievo di George Soros, Stanley Druckenmiller, ha assunto una posizione ribassista sul debito Usa con posizioni per il 15-20% del portafoglio, esprimendo preoccupazioni riguardo all’inflazione, suggerendo che potrebbe raggiungere livelli simili a quelli degli anni ’70. Non la pensa così il governatore della Fed Powell che pochi giorni fa, commentando il taglio dei tassi da 25 punti base, ha ribadito che l’economia statunitense è resiliente. Più la recessione si allontana più il mercato chiede un adeguato premio al rischio sui bond a lunga scadenza. Tra bicchiere mezzo pieno e mezzo vuoto Trump avrà un nemico in più rispetto al suo precedente mandato: i bond vigilantes. Guardiani del deficit che saranno pronti a far lievitare i rendimenti di mercato a fronte di eventuali eccessi di spesa.
Fonte: Il Sole 24 Ore