Il pianoforte, re degli strumenti musicali

È opinione comune che il pianoforte sia il re degli strumenti musicali. A chi non concorda e propende per attribuire tale onore all’organo, come fece lo stesso Mozart nel 1770 prima di entusiasmarsi per i pianoforti Stein nel 1777, conviene presentare almeno un paio di illustri (e forse insospettabili) testimoni a favore del miracolo a 88 tasti: George Bernard Shaw (1856-1950), che in un articolo emblematicamente intitolato La religione del pianoforte (1894), lo definì “il più importante di tutti gli strumenti musicali”, giacché “la sua invenzione rappresenta per la musica ciò che l’invenzione della stampa fu per la poesia”; e Max Weber (1864-1920), che così si espresse in un saggio pubblicato negli anni venti del secolo scorso: l’“incrollabile posizione attuale [del pianoforte] si basa sull’universalità del suo uso, sulla possibilità, offerta universalmente, di appropriarsi di quasi tutti i tesori della letteratura musicale nella propria casa, sull’incommensurabile ricchezza dei suoi prodotti e infine sulla sua unicità, come strumento universale per l’accompagnamento e per l’addestramento musicale”.

Un camaleontico prodotto socio-culturale

Proprio per queste e altre (analoghe) ragioni, il pianoforte, con i suoi “interpreti” (in senso assai lato: pianisti, costruttori, accordatori, compositori, editori, critici, appassionati, ecc.), è anche un camaleontico prodotto socio-culturale, il raffinato protagonista di molte opere letterarie, il soggetto privilegiato di una ricca e plurisecolare galleria di raffigurazioni pittoriche, nonché una delle più seducenti “prime donne” (organologiche) della cinematografia di ieri e di oggi.

Da più di tre secoli al pianoforte è affidato il compito di articolare linguaggi, elaborare culture, gestire le economie delle risorse più diverse che gli vengono affidate dall’esperienza umana, siano esse di natura espressiva, spirituale, compositiva, tecnologica, imprenditoriale, ecc.

Il pianoforte ha assolto tale compito coltivando con la più sfrenata creatività “l’opposizione significante dei piano e dei forte”, anche a dispetto dello scetticismo di Roland Barthes (1970), per il quale la sua “importanza storica forse è sopravvalutata poiché, in fin dei conti, segna solo una minima parte della musica del mondo e corrisponde all’invenzione di uno strumento il cui nome è sufficientemente significativo, il piano-forte”.

Il pianoforte in università può trovare una cornice ideale per valorizzare la poliedricità della sua storia, delle sue risorse e delle sue potenzialità, anche nel segno di quell’aforisma birichino che la rete continua ad attribuire a Glenn Gould (1932-1982), ma che pare invece sia stato coniato da Maria Yudina (1899-1970): “il pianoforte si suona con la testa, non con le mani”.

Fonte: Il Sole 24 Ore