Il populismo al quadrato – Il Sole 24 ORE
I punti chiave
- Parole d’ordine semplici e stereotipate
Si fa un gran parlare, oggi, di populismo. I migliori dizionari lo qualificano come: “atteggiamento ideologico che, sulla base di principi e programmi genericamente ispirati al socialismo, esalta in modo demagogico e velleitario il popolo come depositario di valori totalmente positivi” (Treccani, 2017).
In realtà il termine viene da lontano, essendo riconducibile ai movimenti socialisti e anti-zaristi della Russia della seconda metà dell’800. Ogni Paese, a modo suo, vi ha poi fatto ricorso: dalla Germania degli anni trenta all’Argentina di Juan Peron (basti leggere A.Weale, Il mito della volontà popolare, Luiss Univ.Press 2020). Anche in Italia alcuni leader politici ne hanno fatto ampio uso, da Silvio Berlusconi a Matteo Renzi e Matteo Salvini. Ma mai nessuno ha battuto la via del populismo più del M5S, i cui esponenti da sempre evocano l’idea di una democrazia plenipotenziaria liberata dalle lungaggini parlamentari che, con l’ausilio della tecnologia, instaura, con gli elettori, un rapporto diretto.
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Una forma quindi di democrazia decidente basata su parole d’ordine semplici e stereotipate (sulla necessità di recuperare la “complessità del reale” v. A.Barbano, La visione, Mondadori 2020) e su metodi di consultazione permanente garantiti dalla piattaforma Rousseau.
Abbiamo pertanto immaginato, per un attimo, alcuni capisaldi identitari della vulgata populista tradursi in fatti concreti. E modalità di decisione, pubbliche e trasparenti, attraverso il web (Interessante il contributo di M.Barberis, Come internet sta uccidendo la democrazia. Populismo digitale, Chiarilettere 2020). Anche perché questo diceva la narrazione rivoluzionaria, orientata com’era ad affermare umori e voleri del popolo a discapito della casta. Ma era un libro dei sogni che, col passare del tempo, avrebbe inesorabilmente ceduto il passo a intendimenti ben più terreni e consueti (interessante anche A.Masala, J.Viviani, (cur.), L’età dei populismi. Un’analisi politica e sociale, Carocci 2020).Così i capisaldi del populismo, dai quali esso ha tratto investitura popolare, sono stati tutti sistematicamente traditi. Tap e Tav sono diventate infrastrutture essenziali, gli avvisi di garanzia atti dovuti, l’Europa è tornata amica, è nato il mandato zero. Sono state tradite anche le sue ideali modalità operative: le alleanze vietate sono diventate coalizioni con chiunque, le dirette streaming i verbali a porte chiuse.Non si è infine impressa alla democrazia alcuna reale capacità decidente. Anzi, si è registrato un progressivo accentramento delle decisioni in capo al Governo e ancor più al Premier, privando il Parlamento e la legge di ogni apparente utilità.
L’illusionismo
Nonostante tutto questo, la vulgata populista non è cambiata e le sue icone identitarie sono rimaste intonse. Si è infatti costruita, attorno ad esse, una narrazione immaginifica che supera ogni realtà. Un’operazione comunicativa di populismo sul populismo, fatta di idolatrie e finzioni al contempo sempre più intransigenti e slegate dalla realtà. Una sorta di populismo al quadrato con progressioni esponenziali irraggiungibili.Del resto, non è una novità. L’illusionismo, nelle grandi battaglie, ha sempre pagato.Ricordate Jasper Maskelyne, a capo della Banda dei Miracoli? La divisione illusionista britannica che, nella seconda guerra mondiale,”nascose” Alessandria d’Egitto inducendo l’aviazione italo-tedesca a bombardare un porto fantoccio realizzato a 10 miglia di distanza? E che, ad El Alamein nel 1942, realizzò una corazzata di cartone e legno, con tanto di manichini e carri armati, mentre la vera divisione, camuffata da convoglio, aggirava le truppe tedesche?Attenzione però ai distinguo. In quel caso, ad essere ingannati furono gli eserciti avversari. Nel caso del populismo al quadrato la vittima è (guarda un po’) il popolo stesso.
Fonte: Il Sole 24 Ore