Il secondo pilastro scricchiola: Fondi e iscritti non crescono più
Il secondo pilastro della Sanità italiana comincia a scricchiolare pesantemente: oggi la Sanità integrativa conta su 16 milioni di iscritti, ma sono ormai tre anni che tutto il settore sta decelerando non crescendo più e ora anche sul fronte della sostenibilità economica si apre qualche crepa.
Nati proprio per dare una mano al Servizio sanitario nazionale oggi che forse ce ne sarebbe ancora più bisogno visto il grande affanno in cui si trova il Ssn- si pensi a visite ed esami, dentista, cure ai non autosufficienti – i fondi integrativi hanno sempre più il fiato corto come dicono i numeri appena pubblicati dal ministero della Salute: Fondi, Casse e società di mutuo soccorso sono cresciuti nell’ultimo decennio al ritmo di un milione di nuovi iscritti all’anno partendo dai 5,8 milioni del 2013 e raggiungendo i 16,2 milioni, ma tra il 2021 e il 2023 (ultimo anno in cui si hanno dati) il ritmo è decelerato con gli iscritti fermi appunto al tetto dei 16 milioni. Mentre il numero dei Fondi integrativi è addirittura calato e dopo essere salito ai 334 nel 2022 (erano 327 nel 2021) nel 2023 sono scesi a 324. “E’ come se avessero raggiunto un plateau non più superabile. Senza un intervento normativo di riforma che estenda il perimetro della Sanità integrativa è difficile che si arrivi oltre questi 16 milioni di italiani e cioè solo il 24% della popolazione coperta. Poco se si pensa che in Francia e Germania le forme di assistenza integrativa collettivistica, non le assicurazioni individuali, coprono circa il 70% della popolazione”, avverte Ivano Russo presidente dell’Osservatorio Welfare e Salute che monitora proprio il mondo della Sanità integrativa. Tra l’altro che ci sia bisogno di un secondo pilastro più forte lo dicono anche i numeri della spesa sanitaria: sempre nel 2023 – come ha registrato recentemente la Ragioneria generale dello Stato – a fronte di quasi 133 miliardi di spesa pubblica per finanziare il Ssn, quella pagata direttamente dai cittadini per avere le prestazioni (la cosiddetta out of pocket) ha raggiunto i 43 miliardi. In pratica un euro su tre per le cure lo pagano gli italiani di tasca propria. Mentre la spesa in prestazioni erogata dai Fondi integrativi nel 2023 è stata di 3,2 miliardi, troppo poco rispetto alla montagna di soldi che spendono gli italiani per curarsi e che almeno per una parte potrebbe essere intermediata dalla Sanità integrativa.
Il problema non sono gli incentivi o le agevolazioni fiscali che già ci sono: “Non serve un euro pubblico, ma serve un provvedimento che intervenga sul loro assetto regolatorio intervenendo innanzitutto sul problema numero uno e cioè il contrasto all’elusione contributiva da parte delle aziende. Oggi secondo i contratti collettivi firmati avrebbero diritto a qualche forma di Sanità integrativa 15 milioni di lavoratori, ma quelli effettivi iscritti sono 8 milioni, circa la metà è dunque esclusa”, segnala ancora il presidente di Welfare e Salute. Nei 16 milioni di iscritti attuali ai Fondi integrativi ci sono infatti oltre agli 8 milioni di lavoratori anche i rispettivi nuclei familiari (circa 4 milioni), altri 2 milioni di liberi professionisti come avvocati, architetti, ecc. e poi circa mezzo milione di pensionati. Ma come uscirne? “Bisognerebbe intervenire spostando l’esigibilità del diritto alla sanità integrativa dal lavoratore al Fondo integrativo, il lavoratore infatti non denuncerà mai il suo datore di lavoro perché non lo iscrive al fondo di categoria”, aggiunge ancora Russo. Che sottolinea come la platea dei fondi integrativi potrebbe essere ulteriormente ampliata aggiungendo anche i 3,5 milioni di dipendenti pubblici: “E’ un buco nero. Non si capisce per quale ragione al mondo se il marito è un operaio metalmeccanico è ha la sanità integrativa, la moglie che magari fa l’insegnate non può averla”. Infine non è marginale il nodo della sostenibilità: “Da una parte la platea non aumenta perché non si contrasta l’elusione contributiva e dall’altra aumenta la richiesta di prestazioni ma non quella dei premi. Il rapporto tra premi e sinistri è salito al 70% quando pochi anni fa era al 50%. Tra qualche anno no ci sarà più convenienza economica e ci sarà la fuga di assicurazioni e altri player dalla sanità integrativa, un vero problema perché non occuparsi del secondo pilastro – conclude Russo – vuol dire fare un danno anche al primo pilastro, quello pubblico”.
Fonte: Il Sole 24 Ore