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“Il seme del fico sacro”, un film impegnato che non lascia indifferenti
Un film di straordinaria urgenza è il grande protagonista del weekend in sala: “Il seme del fico sacro” di Mohammad Rasoulof è uno dei titoli più importanti arrivati nei nostri cinema in questi primi mesi del 2025.
Fuggito dall’Iran in seguito alla condanna a otto anni per “collusione contro la sicurezza nazionale”, Rasoulof è uno dei nomi più rilevanti di una cinematografia sempre più fondamentale come quella iraniana, una nazione in cui sono moltissimi gli artisti e le artiste che lottano con il loro lavoro per protestare contro il regime e che usano il cinema come un’arma a tutti gli effetti: il caso più eclatante è quello del grande Jafar Panahi, ma i nomi che sono costretti a girare film clandestinamente sono moltissimi, pronti a mettere a rischio anche la propria libertà.
Vincitore dell’Orso d’oro al Festival di Berlino nel 2020 con “Il male non esiste”, Rasoulof è tornato dietro la macchina da presa per raccontare il personaggio di Iman, un funzionario governativo in preda alla paranoia mentre a Teheran impazzano i disordini politici. Quando la sua pistola sparisce, sospetta della moglie e delle figlie, imponendo delle misure rigidissime che metteranno a dura prova i legami famigliari.
Attraverso una messinscena perfettamente calibrata, l’autore iraniano dà vita a un lungometraggio che tiene altissimo il ritmo per tutta la sua lunga durata (quasi 170 minuti), senza di fatto avere mai cedimenti e riuscendo a coinvolgere e scuotere lo spettatore così come si era prefissato.
Bastano poche sequenze per sentire tutta la forza di un prodotto che mostra gli aspetti più oscuri della società iraniana, ragionando su patriarcato, religione, famiglia e su come si “risponde” a chi cerca di avere solo un po’ di libertà.
Fonte: Il Sole 24 Ore